La folla accoglie il Papa Buono Il caso delle mani
L’arrivo della teca a Bergamo da Roma «Il caldo ha sciolto la cera, ma niente danni»
BERGAMO Le mani del Papa Buono, quelle della «carezza ai vostri bambini», sono salve. La cera che le ricopre si è rammollita per il calore, «ma le sacre spoglie di Giovanni XXIII non hanno subìto alcun danno», assicura il professor Nazzareno Gabrielli, biochimico che da oltre quarant’anni si occupa dell’imbalsamazione di corpi di santi e della conservazione di reliquie. Una pratica vietata in Italia, ma consentita dal Vaticano.
«Il corpo è integro e molto ben conservato», aggiunge Gabrielli, per decenni direttore del Gabinetto chimico ai Musei Vaticani, che ha eseguito la ricognizione canonica prima della partenza: la voce più autorevole su questo «incidente di percorso della peregrinatio», il ritorno di Papa Giovanni nella sua terra natale a 55 anni dalla morte. Prima tappa a Bergamo, giovedì, con tremila persone ad accogliere l’urna in piazza Vittorio Veneto. Da lì al carcere, un incontro commovente che ha fatto rivivere l’emozione per la visita del Papa, nel ‘58, a Regina Coeli. Poi il saluto del Seminario in Città Alta e la veglia in cattedrale, con il vescovo Francesco Beschi, che ha ottenuto da Papa Francesco «un onore e un dono». Domani nuovi trasferimenti: prima in ospedale, poi al santuario della Cornabusa tanto caro al pontefice, e infine a Sotto il Monte, il paese dove nacque in una cascina, e che ospiterà le spoglie fino al 10 giugno.
Il viaggio dunque continua, «ma si renderanno necessarie delle precauzioni», avverte Gabrielli: «La teca dovrà essere collocata su un mezzo provvisto di copertura superiore, una sorta di tetto che la protegga dal sole, con aperture Mila
I fedeli che hanno accolto a Bergamo le spoglie del Papa, tra questi Bossetti, accusato della morte di Yara Gambirasio laterali. La visibilità della sacra salma non ne risentirà e sarà riparata dall’irradiazione diretta». È stato proprio il gran caldo, esploso all’improvviso giovedì quando l’urna in carbonio — con vetro antiproiettile chiarificato e gas argon che impedisce l’ossidazione del corpo — è arrivata da Roma. Viaggio in furgone dalla capitale, poi a Seriate il trasbordo su un pickup per renderla visibile alle migliaia di fedeli che l’hanno «scortata» fino a Bergamo. «Una manciata di chilometri, ma a passo d’uomo», dicono in Curia, sorpresi dalla quantità di persone lungo il tragitto.
«Il sole — spiega il professore — ha inondato l’urna, irradiandola dall’alto, ha surriscaldato l’anello che il Papa porta al dito. Il metallo, che è un buon conduttore di calore, ha rammollito il sottile strato di cera che ricopre le mani. Il volto non ha ceduto perché fatto di uno strato di cera più spesso». Sotto la cera ci sono ossa e falangi vere, integre, ma che, per essere visibili e venerate, vengono coperte da una miscela di cera e Le mani
Lo strato di cera che avvolge le mani di Giovanni XXIII è stato danneggiato dal caldo durante la traslazione a Bergamo paraffina ad alto punto di fusione. Un intervento di «tanatoestetica» che, con i calchi, consente di riprodurre e ridare al defunto i lineamenti che la lipolisi dell’imbalsamazione toglie ai resti mortali.
Secondo Gabrielli il problema caldo era prevedibile: «Non siamo in gennaio, ma a fine maggio: sarebbe bastato mettere un panno bianco sul lato superiore della teca, un accorgimento semplice, intuitivo». Già nel 2000, quando venne beatificato sulla piazza di San Pietro, il caldo sciupò le mani. Stavolta il danno è stato decisamente maggiore. «Con un termocauterio (uno strumento chirurgico che utilizza una punta incandescente, ndr) provvederemo a ripristinare le mani come in origine», promette il biochimico. Restituendo così l’effetto carezza di quell’11 ottobre 1962, quando dalla finestra del Palazzo Apostolico papa Angelo Roncalli pronunciò a braccio il «Discorso della Luna».