Le fiere amazzoni venute dal Messico
La sfilata di Dior Maria Grazia Chiuri si ispira alla forza (e insieme alla femminilità) delle «escaramuzas»
«Tutta la vita è un rodeo, non soltanto quella delle donne. L’importante è imparare a stare in sella». Maria Grazia Chiuri, prima donna a salire a cavallo della maison di Christian Dior, non poteva far sfilare la sua collezione cruise 2019 dedicata all’equitazione in una location normale: «Le collezioni cruise così importanti per le aziende avvengono fuori dalle normali fashion week e meritano location speciali, che diano un senso di sogno, un po’ irreale». Eccoci allora a Chantilly, poco fuori Parigi, nelle scuderie del Domaine de Chantilly, 7800 ettari con il parco dei giardini di Andre Le Notre e il palazzo di Enrico d’orleans figlio di Luigi Filippo. Location irreale come la pioggia battente che ha un po’ modificato il progetto originale di una sfilata all’aperto, ma Chiuri non si lascia intimidire dal meteo: e ha presentato ieri sera una collezione ricca di look — 82 — e di tessuti preziosi — la Toile de Jouy con le sue finissime decorazioni così amate dagli inglesi — e che come sempre nel lavoro della stilista romana colpisce per l’assoluta chiarezza delle idee.
MGC parte da una tradizione che non poteva non affascinarla, quella del rodeo messicano delle donne, e usa l’uniforme delle escaramuzas come punto di partenza per una collezione di gonne ampie, cappelli, fiori, cinture alte, stivali di gomma tipo anfibio militare (e ci sono anche le sneaker perché anche il merchandising vuole la sua parte). Chiuri ha invitato le donne-amazzoni messicane (non i loro cavalli, a causa di cavilli burocratici), le escaramuzas che hanno scelto uno sport «da uomini» ma da praticare indossando uniformi elaboratissime («tre volants, fiocco, borsa, Jupon, una cintura speciale nera, un vestito lungo con tre balze, il sottogonna poi i pantaloni e tutto deve essere di cotone...» elencava Chiuri).
La filosofia della stilista è chiara: «Queste donne, eccellenti amazzoni che ho visto però contentissime di visitare l’atelier a Parigi, dimostrano che puoi andare a fare quello che vuoi senza rinunciare alla tua femminilità. Mi ha colpita che con tutta la buona volontà il rodeo non ti fa pensare a una cosa femminile eppure guardale, femminili e fiere e eleganti. Un tema che mi interessa e l’unione tra donne, le loro alleanze, la sorellanza, per così dire, che si sviluppa tra persone, unità degli stessi interessi, dagli stessi ideali. E poi sono donne del Sud: più viaggio e più mi convinco che al mondo tutti i Sud si somigliano».
Chantilly è la cittadina dei pizzi sublimi ma il saper fare di Dior li tramuta nelle mani di Chiuri in una specie di cotone impalpabile, morbidissimo perché «la ricerca di craftmanship è doverosa in un’azienda come questa, con la sua tradizione». La moda è fatta (anche) di riferimenti e qui il riferimento non è un film ma un libro, o meglio i libri di Isabel Allende, invitata alla sfilata da Chiuri che ama la scrittrice «che porta noi lettori in una terra così affascinante, tra il reale e il fantastico, sono una sfegatata di Allende. È una donna che riflette molto sulle donne, sugli uomini, sulla vita attraverso libri come La casa degli spiriti e ci insegna che è necessario riflettere su se stessi. Lei emoziona e racconta la vita».
Inevitabile chiedere a Chiuri un commento su due notizie appena arrivate: la decisione di Gucci di sfilare, in settembre, a Parigi e non a Milano come al solito, togliendo così lo show più atteso alla fashion week italiana? «Davvero?». Gucci parla di omaggio alla Francia. «E allora diciamo che spero di sfilare a Roma con Dior, prossimamente, io vorrei farlo all’italia e alla mia città». Non è una battuta: «No — spiega seria — Se me lo lasciano fare, io a Roma sfilo eccome». Si fa ancora più seria, Chiuri, quando le si domanda di Harvey Weinstein in manette a New York. E la stilista che ha debuttato da Dior con la famosa t-shirt femminista, risponde fredda: «Si, ho anche letto che ha pagato un milione per avere il braccialetto elettronico».