Il mezzo secolo del gioiello che ha cambiato i gioielli
L’evento per il «quadrifoglio» di Van Cleef Il direttore creativo: ha creato l’hippy-chic
Cinquant’anni sono quel punto di mezzo in cui si osserva quello che è stato e si progetta, con nuove idee, il futuro. La collezione Alhambra ha appena spento le candeline: più di una a dire il vero, forse un migliaio, tutte quelle che hanno illuminato il gala dinner allestito a el Badi Palace di Marrakech.
Nata nel 1968 in casa Van Cleef, una delle più importanti case dell’alta gioielleria parte del gruppo Richemont, Alhambra ha scelto la città rossa per festeggiare e ricordare i valori forti della maison: gioia di vivere, poesia, femminilità. E in questo caso anche un po’ di fortuna, perché l’iconico quadrifoglio la cui realizzazione prevede almeno 15 passaggi, è diventato un porte-bonheur che ha segnato la nascita del prêt-à-porter della gioielleria.
Per dimostrarlo Nicolas Bos, amministratore delegato e direttore creativo di Van Cleef and Arpels, ha a disposizione un archivio fotografico di donne leggendarie: principesse, attrici, cantanti e scrittrici. Romy Schneider ha creduto nel «potere» di una lunga collana Alhambra, che ha voluto con sé sul set del film di Michel Deville Le Mouton Enragé. Nel 1974 la cantante francese Françoise Hardy ha posato con al collo un sautoir. «Tante ambasciatrici ci hanno onorato della loro scelta — spiega Bos —, ma penso a Grace Kelly come a una delle nostre clienti più fedeli, capace di trasmettere con eleganza la portabilità di Alhambra». Il suo modo di mescolare insieme più collane, facendo convivere lapislazzuli, onice e malachite, ha fatto scuola. «La principessa poteva indossare la tiara con la stessa naturalezza di una collana di pietre dure: perfetta nelle occasioni ufficiali, ma capace di un approccio daily con la gioielleria».
Ed è proprio in questo che Alhambra ha segnato il passo: creare uno stile iconico capace di accompagnare le donne in ogni momento o occasione. «Non so dire se Alhambra abbia rivoluzionato la scena mondiale della gioielleria, ma posso dire che ha introdotto un approccio bohemien ed hippy-chic. Con questa collezione è nata una idea molto versatile del gioiello». La scelta del quadrifoglio viene ispirata da un concetto popolare di buona sorte, ma declinato in creazioni raffinatissime e di elevata artigianalità grazie al lavoro delle «mains d’or».
Il simbolo era presente negli archivi fin dagli anni Venti e Jacques Arpels aveva l’abitudine di cercare quadrifogli nel giardino della sua proprietà di Germigny-l’évêque da offrire ai collaboratori insieme alla poesia inglese «Don’t Quit», come invito a non perdere mai la speranza. «Per avere fortuna, bisogna credere nella fortuna»,
1968
Il portafortuna, la cui fattura prevede almeno 15 passaggi, ha segnato la nascita del prêt-à-porter della gioielleria
amava ripetere. Questa sua filosofia si è materializzata in un gioiello portafortuna composto di 20 elementi in oro giallo froissé, profilati di perle d’oro. Il 1968 è l’anno del primo sautoir, in oro giallo, ma subito dopo arrivano malachite, lapislazzuli, onice, corallo, occhio di tigre e turchese. L’onice è del Brasile, perché di un nero profondo; la madreperla grigia, proviene dalla Polinesia francese; i diamanti sono solo di categoria D, E o F; e i cristalli di rocca lasciano trasparire inclusioni che ricordano la brina.
«Cinquant’anni dopo la creazione del sautoir Alhambra torniamo — spiega Bos — con un sautoir e un bracciale Vintage Alhambra, accompagnati da orecchini Magic Alhambra». La filosofia rimane quella un po’ talismanica del passato, quando nel 1977 una pubblicità avvertiva che «presso la boutique Van Cleef & Arpels, 22 place Vendôme, è possibile trovare dei gioielli sensibili, teneri, complici. Gioielli fedeli, che non vi lasceranno più».