La famiglia, poi l’america tutta Ivi aggidiRoth,l’ an ti sentimentale
L’autore della «Pastorale» che vinse il Pulitzer non indulgeva in tenerezze Ma volle raccontare il mondo cominciando dalla realtà da cui proveniva
C’è una fotografia in Patrimonio, il libro pubblicato nel 1991 che, con Everyman, può essere considerato il più intimo e per certi versi più semplice di Philip Roth: una sorta di autofiction che racconta la dilatata agonia del padre Herman, la sua carica vitale paralizzata dal tumore al cervello che lo condurrà alla morte a 86 anni. «Siamo in posa, in costume da bagno, un Roth dietro l’altro, sul prato antistante la pensione di Bradley Beach dove la nostra famiglia affittava una camera da letto con uso cucina ogni estate per un mese. È l’agosto 1937. Abbiamo quattro, nove e trentasei anni», descrive Roth quello scatto che lo ritrae con il padre e il fratello più grande. C’è qualcosa di struggente, pur nella consapevolezza della distanza dello scrittore da ogni forma di sentimentalismo, nel riguardare la fotografia ora che Roth se n’è andato il 22 maggio a 85 anni, quasi alla stessa età di quel padre amato e osteggiato, che sarà sempre un punto di riferimento, anche letterario.
D’altro canto la famiglia in cui era nato a Newark (New Jersey) nel 1933, la piccola borghesia ebraica alla quale apparteneva con i suoi tipi umani, le sue manie, i suoi pregiudizi, sono stati da subito l’oggetto del suo sguardo di narratore. Uno sguardo originale, che sarà un modello inarrivabile per molti scrittori della generazione successiva che a lui continuano a guardare come a un maestro, anche per la capacità di imporsi, suo malgrado, come un autore mainstream. Negli oltre trenta romanzi pubblicati Roth allargherà sempre di più l’orizzonte di quello sguardo, all’america intera, ai grandi eventi che diventeranno storia.
L’esordio è nel 1959 quando, appena ventiseienne, pubblica la raccolta di sei racconti Addio, Columbus. È l’amico e collega Richard Stern, che come lui all’epoca insegna all’università di Chicago e che resterà il suo maestro (quasi sconosciuto per il grande pubblico), a spingerlo a scrivere, dopo avere ascoltato il comico racconto di Roth su un’estate passata a corteggiare la ricca figlia di un commerciante ebreo nel New Jersey. Nasce così il racconto che dà il titolo al libro. La storia d’amore tra due ventenni serve da canovaccio per riflettere su quelli che diventeranno i suoi temi classici: il sesso, l’amore, la religione, le ipocrisie che costituiscono lo zoccolo duro della società americana. È nel 1969 che ottiene il primo grande successo (e il primo vero scandalo) con Il lamento di Portnoy, in cui racconta in modo esplicito la tragicomica conquista del piacere che un trentenne ebreo, voce narrante dalla grande potenza, destina al proprio psicanalista, interlocutore muto fino all’ultima pagina.
Dal 1979, con Lo scrittore fantasma, Roth affida le sue ossessioni al suo alter ego letterario più celebre, lo scrittore Nathan Zuckerman che invecchierà con lui, acquistando in lucidità e visione. Nel 1981 esce Zuckerman scatenato (il riferimento del titolo è al Prometeo liberato di Percy Shelley, mentre Roth scatenato sarà il titolo che Claudia Roth Pierponty darà alla biografia dello scrittore uscita nel 2014). Ambientato negli anni degli assassinii di Robert Kennedy e di Martin Luther King, il libro ritrae uno Zuckerman incapace di godersi la fama, ridotto a condurre quasi una vita da recluso, nel timore che qualcuno, dopo averlo etichettato come «nemico degli ebrei», decida di vendicarsi. È in controluce il ritratto dello scrittore che il successo (de Il lamento di Portnoy) distrugge, proprio perché tutti lo scambiano per l’eroe del suo libro.
Zuckerman porta con sé tutta una serie di personaggi, come il fratello dentista, Henry, protagonista de La controvita (1986) e sarà presente, in forma più defilata, anche in quello che viene considerato il capolavoro di Roth, Pastorale americana, del 1997, dove lo scrittore affronta in modo più aperto i temi politico-sociali e che gli vale il premio Pulitzer. Pastorale americana, con cui inizia anche la collana del «Corriere», è il primo titolo di una trilogia a cui seguono Ho sposato un comunista (dove lo scrittore ritrae, senza farle sconti, la seconda moglie, Claire Bloom, un’attrice inglese per amore della quale lo scrittore aveva provato a vivere a Londra) e La macchia umana, dove viene portata al culmine la crociata contro il moralismo puritano nella sua ultima deriva: il politicamente corretto.
La produzione narrativa si ferma nel 2010 con Nemesi: qui Roth chiude il suo orizzonte al quartiere ebraico di Newark dove, nel luglio 1944, scoppia un’epidemia di poliomielite. Quasi un ritorno alle origini per quello che sarà il romanzo dell’addio. Roth non ha mai nascosto che scrivere per lui fosse uno sforzo necessario ma anche totalizzante. «Ho vissuto 50 anni in una stanza silenziosa come il fondo di una piscina, in preda ad emozioni contrastanti in una tremenda solitudine» ha detto in una delle ultime interviste, pubblicata dal «New York Times» .
Dopo aver smesso di scrivere (lo aveva annunciato nel 2012 in un’intervista al magazine «Les Inrockuptibles») Roth si divideva tra la casa nella campagna del Connecticut dove ha lavorato a molti dei suoi libri, e l’appartamento nell’upper West Side di New York. Convinto di aver composto ormai le sue opere migliori e che qualunque altro libro non sarebbe stato abbastanza buono, ha dato disposizione che i suoi archivi vengano distrutti.
Radici
Il suo ambiente d’origine era costituito dalla piccola borghesia ebraica del New Jersey