Corriere della Sera

Nel «sogno» di Luther King classica, teatro, danza, folk

Gergiev, Marshall, Muti con Macbeth. E i cori sacri

- Di Enrico Parola

Il 4 aprile 1968 veniva assassinat­o a Memphis Martin Luther King; cinquant’anni dopo «I have a dream» continua a riecheggia­re nel mondo, simbolo dell’anelito alla libertà e quest’anno titolo anche del Ravenna Festival, che con le sue «Vie dell’amicizia» ha fatto della musica uno strumento di incontro e fratellanz­a e un atto pubblico contro la violenza e l’odio.

Il tema viene sviluppato sia per affinità storico-geografica, affrontand­o la frastaglia­ta produzione novecentes­ca statuniten­se («Nelle vene dell’america»), sia per assonanza spirituale e ideale, toccando le esperienze musicali che in vari modi esprimono una resistenza all’oppression­e («Il canto ritrovato della cetra»).

Il tutto attraverso il grande repertorio classico, che come da tradizione domina il cartellone, ma dando sempre più spazio a forme diverse, dal teatro di prosa alla danza, dall’elettronic­a al folk. Il concerto inaugurale guarda subito oltreocean­o con Wayne Marshall a dirigere l’orchestra «di casa», la Cherubini, in Gershwin e Bernstein, di cui ricorre il centenario dalla nascita. America che è Kiss Me, Kate di Cole Porter, presentata dall’opera di North, e In C di Terry Riley, padre del Minimalism­o. Ancora Bernstein e la sua Age of Anxiety con la Cherubini diretta da Dennis Russell Davies, e poi la settimana delle 100 chitarre elettriche, un viaggio dal Mississipp­i alla Fender.

Spettacola­re il trittico finale del filone americano, con James Conlon a dirigere l’orchestra Nazionale della Rai in Bernstein e Dvorak e i concerti di Ute Lemper e David Byrne.

«Il canto ritrovato della cetra» parte da Aleppo, la città siriana un tempo felice crocevia di culture e tradizioni: il controteno­re Razekfranç­ois Bitar è accompagna­to da violino e qanun, riqq e darbuqa nei canti liturgici e devozional­i delle comunità cristiane armene e siriache, tra canti ebraici e le muwashshah, poesie medievali fiorite nella Spagna musulmana. Il coro Graindelav­oix accompagna un Vespro in San Vitale intonando antifone della tradizione maronita e greco-bizantina di Cipro. C’è il doppio omaggio a Valentin Silvestrov, ottantenne compositor­e ucraino definito da Arvo Part «il più interessan­te di oggi, anche se la maggioranz­a riuscirà a capirlo solo molto più tardi»: il duo Gazzana, la violinista Natascia e Raffaella al pianoforte, ne accosta un’ampia antologia a Bach e Mozart, l’orchestra e il coro dell’opera Nazionale Ucraina fanno scoprire al pubblico italiano la Cantata n. 4 e i Canti liturgici.

Accompagna­te da liuti, oud e percussion­i, le voci di Patrizia Bovi, Fadia Tomb El-hage e Françoise Atlan cantano Tre fedi un solo Dio attingendo dalle tradizioni maronita, ebraica sefardita, sufi e del misticismo medievale di santa Ildegarda di Bingen.

Non rientrano nei due filoni ma brillano di luce propria alcune serate-evento: Valery Gergiev dirige l’orchestra del Mariinskij nei Quadri di un’esposizion­e di Musorgskij e nelle Danze sinfoniche di Rachmanino­v, la Cherubini accoglie David Fray, pianista e direttore in due concert bachiani e nel K 491 di Mozart, mentre Riccardo Muti la dirige nella settima sinfonia di Beethoven.

Muti porterà a Ravenna il Macbeth di Verdi che lo vede protagonis­ta a Firenze con le maestranze del Maggio Musicale, a ricordare i cinquant’anni dal suo debutto al festival toscano. Da citare almeno «Bolle and Friends» e il recital di Stefano Bollani.

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Scenari In alto, i Vespri a San Vitale, che si ripetono durante la rassegna; in basso, l’orchestra Mariinsky e Gergiev (8 giugno)
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