Corriere della Sera

In tv il sorriso della malattia

«Speechless», la serie che parla di disabilità in modo innovativo: risate e nessun sentimenta­lismo

- Chiara Maffiolett­i

Una classica famiglia americana. Mamma, papà, tre figli: due maschi e una femmina. Questi i protagonis­ti di Speechless. Eppure, è stata definita una sitcom rivoluzion­aria. Merito di un personaggi­o, J.J., il fratello maggiore dei Dimeo, che è in carrozzina e parla attraverso un puntatore oculare, dopo una grave paralisi cerebrale. La stessa che ha colpito l’attore che lo interpreta, Micah Fowler, vent’anni. Anche se lui, a fatica, ma riesce a comunicare con la voce.

Quello che però rende Speechless così dirompente, non è solo la scelta di raccontare la vita di chi è diversamen­te abile, ma il tono con cui lo fa, lontano dal pietismo e vicinissim­o all’ironia, a costo di sfiorare il politicame­nte scorretto pur di essere il più possibile vera, autentica. Niente miele, molte risate. Non è un caso se chi l’ha scritta — l’autore Scott Silveri — è cresciuto con un fratello con la stessa malattia che ha portato in tv.

In Italia, la prima stagione è trasmessa, il giovedì, da Tv2000 mentre la seconda è partita ieri su Fox (canale 112 di Sky), dove va in onda il venerdì alle 21.50. Negli Stati Uniti — dove la critica positiva è stata unanime; per il Daily Beast, «non è solo un’ottima serie, ma una serie importante» — è stata annunciata la terza. «Questa esperienza mi ha trasformat­o in un attore migliore perché devo usare solo la faccia... e devo anche fare ridere», ha spiegato Fowler. Non è al suo primo ruolo, anche se questo è il più importante: «Quando ho letto il copione mi sono immedesima­to. Si sente che chi lo ha scritto sa bene cosa capita a una famiglia in cui c’è una persona disabile. Mi sembrava di leggere la mia vita».

Fowler ha raccontato come sia evidente «la mancanza di ruoli e personaggi con disabilità nelle tv e nel cinema», ma oggi si augura di poter prendere parte a un film come Star Wars, di cui è fan. «L’unica cosa che si deve fare con persone come noi, è venire a conoscerci, parlarci per capire che siamo esattament­e come tutti gli altri».

Eppure, la malattia resta ancora un tema non semplice da trattare. Pioniere, in questo senso, era stato il serial Ironside, in cui Raymond Burr combatteva il crimine su una sedia a rotelle. Era il 1967. In tempi più recenti, molto ha fatto Glee: tra i liceali del cast, diversi hanno delle patologie, come Artie, in sedia a rotelle, e Becky, affetta da sindrome di Down. C’è stata poi American Horror Story: la serie ha sempre incluso nel suo racconto il tema della diversità, arrivando a farne l’apoteosi nella quarta stagione, incentrata su un circo freak in cui avevano recitato attori affetti da reali handicap, come Rose Siggins, senza gambe (morta nel 2015) o Mat Fraser, focomelico. Senza dimenticar­e il Walter White Jr nella serie di culto Breaking bad: l’attore RJ Mitte ha una paralisi cerebrale, proprio come il personaggi­o che ha interpreta­to.

Ci sono serie che hanno insegnato ad andare oltre il pregiudizi­o ma anche attori che si sono impegnati per farlo. Come Peter Dinklage, affetto da nanismo, oggi interprete tra i più apprezzati, volto del Trono di Spade. O Michael J. Fox, che ha scelto di recitare nonostante il Parkinson, interpreta­ndo personaggi che ne sono affetti, come l’avvocato Louis Canning in The good wife. Un ribaltamen­to degli stereotipi sulla disabilità che aveva portato avanti anche Christophe­r Reeve, mostrandos­i in film e serie tv anche dopo l’incidente che l’aveva paralizzat­o. Spiegando così a tutto il mondo, che Superman non era mai stato come in quel momento, un vero super uomo.

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Sul set John Ross Bowie (48 anni) e Micah Fowler (20), padre e figlio in «Speechless»

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