Aru alza bandiera bianca Peggio non si poteva fare
L’altra faccia della leggenda è quella imbambolata di Fabio Aru ( foto), per la prima volta in fuga, verso casa. Fine dello strazio. Radio corsa annuncia rauca che al chilometro 41 il campione italiano abbandona. Proprio qui, sulle montagne piemontesi che ha provato e riprovato per mesi, dal suo quartier generale del Sestriere. Ma questa è solo una coincidenza. Il fatto vero e serio è che Aru, oltre ai disastri già acquisiti, rinuncia persino a concludere il Giro: in vita sua ha corso nove grandi corse a tappe, questa è la prima volta che lancia l’asciugamano. La prima volta che non si scorda più. Partito come capitano unico, chiamato a dimostrare di esserlo nei fatti oltre che nell’ingaggio (3 milioni), lo sfacelo è totale. Già in ritardissimo nella prima minicrono, sempre a picco su tutte le salite, persino penalizzato per scie furbine nella crono, chiude con l’umiliazione del ritiro. «Mi spiace, non mi resta che resettare», commenta in tono patetico. Ricominciare non sarà un ballo in maschera: un Giro così rischia di segnare tutta una carriera. Il tricolore della sua maglia è ammainato, del campione italiano resta poco o niente. Con il crollo di Pozzovivo, non resta nulla neppure dell’italia. Lunga vita a Nibali, che il Cielo lo conservi. È questa la vera lezione del Giro.
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