Corriere della Sera

«La Ferrari? Chissà... Già da bambino ero tifoso della Rossa»

«Il titolo? Devo vincere, a cominciare da domani»

- DAL NOSTRO INVIATO Daniele Sparisci

MONTECARLO «L’intervista la facciamo un po’ in inglese e un po’ in italiano? Così mi esercito». Sorriso enorme e battuta facile, Daniel Ricciardo è l’uomo del momento ed è anche uno dei piloti più bravi e spettacola­ri.

Oggi a Montecarlo va a caccia della pole dopo aver dettato legge nelle prove. Ma l’australian­o è anche al centro di una trattativa per passare alla Ferrari l’anno prossimo e prendere il posto di Kimi Raikkonen. Ha detto che lascerà la Red Bull solo se potrà lottare per il Mondiale e le possibilit­à che si ritrovi a farlo sulla macchina rossa per cui tifava da bambino non sono poche.

Siamo arrivati alla sesta gara, quale è il suo bilancio?

«Sono contento, vedo il bicchiere mezzo pieno. In Cina è stato un successo magnifico, una vittoria inaspettat­a. Ma adesso sento il bisogno che ne arrivi un’altra».

Vincere a Montecarlo è il sogno di tutti.

«È una pista magica, la amo. Qui sento tante energie positive».

Ci è andato vicinissim­o una volta.

«Non me ne parli, mi fa ancora male ricordare quella gara persa». Era il 2016, trionfò Lewis Hamilton per un errore di strategia della Red Bull.

Nato in Australia da papà siciliano e madre di origini calabresi, il suo rapporto con l’italia sembra molto profondo. Provi a spiegarlo.

«È vero, è un legame speciale. Sono cresciuto con i miei nonni che parlavano più italiano che inglese. Però non è solo una questione di lingua, ma di tradizioni. A casa la pasta e il buon vino rosso non mancavano mai. Cenavamo tutti insieme con la tv rigorosame­nte spenta, parlavamo fra noi. Era il tempo di stare insieme, il nostro tempo. Un rito molto italiano, le famiglie australian­e non fanno così. E poi i viaggi...».

Dove?

«Nel 1998 per la prima volta sono andato a trovare i parenti in Sicilia e Calabria. Dieci anni dopo sono venuto a vivere in Italia, quando correvo nelle categorie minori».

È stato suo padre Joe a spingerla nel mondo delle corse?

«Non mi ha spinto, ma ci sperava che diventassi un pilota. È sempre stato un grandissim­o appassiona­to, ha anche corso da giovane. Io da piccolo seguivo le gare in tv, ero pazzo di F1, Motogp, Nascar, V8. Era un casino vederle con le differenze di fusi orari, in pratica in Australia era già lunedì. Per fortuna esistevano le differite. Davanti allo schermo mi piacevano il rumore, la velocità,l’adrenalina, non vedevo l’ora provarle dal vivo quelle emozioni».

Alla fine ci è riuscito.

«Ma quanto c’è voluto. Ricordo gli inizi sul kart: nel posto dove si noleggiava c’era un limite minimo di altezza per poterlo guidare. E io ero troppo basso, così ho detto a papà: “Quando cresco promettimi che mi ci porterai”. Lui lo ha fatto. Non aveva bisogno di insistere perché prendessi la strada che ho scelto, mi ero già incamminat­o da solo in quella direzione».

In Australia avrebbe potuto scegliere rugby, cricket o surf, magari.

«Ero l’unico ragazzo della comitiva con la fissa delle corse. Il surf l’ho provato quattro volte, mi piace ma ho troppa paura degli squali».

A volte quando guida sembra lei uno squalo. Nel 2017 ha fatto più sorpassi di tutti, le sue «staccatone» sono famose. Come nascono: le studia o le vengono naturali?

«È istinto naturale. Forse dopo aver guardato le corse per anni ho imparato qualcosa, ma ora in gara vado in automatico. Osservo la macchina che mi sta davanti e cerco di prevedere che cosa farà e dove posso attaccarla. Si tratta di fare calcoli e di allenare l’occhio, serve esperienza».

Dicono che una sua grande qualità sia la regolarità, spreca pochi punti.

«Sì, è una cosa che mi ha aiutato tanto in carriera. Posso avere uno stile di guida ag- gressivo ma pulito. Non sono il tipo che prende rischi inutili e in ottica campionato è una buona dote. Ma dovrei vincere qualche altra gara per parlare di Mondiale».

Intanto parliamo delle sue 6 vittorie. Quale mette nell’album dei ricordi?

«La seconda, a Budapest nel 2014, e l’ultima un mese e mezzo fa in Cina. Anzi quella di Shanghai è stata più bella: guidavo rilassato, tenevo tutto sotto controllo dopo essere passato in testa. Zero stress».

Che tipo è Daniel? Ci dica pregi e difetti.

«Di buono ho che sono sempre rilassato, non sento la pressione e anzi mi piace. Se c’è tanta confusione non mi distraggo. Debolezze? Forse fuori dal circuito ho troppi amici con cui uscire». Ride.

Passiamo agli avversari. Vettel?

«La sua forza è nella passione: ama la F1, penso che vada a letto con il computer aperto per studiare i dati. Questo spirito lo ha portato a vincere tantissimo. Il suo punto debole penso sia il temperamen­to. Certe volte... esplode. Ma è veramente un bravo ragazzo, abbiamo fatto tante belle battaglie».

Si rivede di nuovo con lui nella stessa squadra? Non è un mistero che con la Ferrari ci siano stati dei contatti.

Fa una pausa e passa all’italiano. «Può darsi, niente è impossibil­e. Magari in estate ci sarà uno scenario più chiaro».

Chi è il favorito per il titolo, ancora Hamilton?

«Sì, ma Sebastian è molto vicino. E se voglio avere qualche chance di giocarmela anch’io, devo vincere domani».

C’è uno sportivo a cui si ispira?

«Uno è Valentino Rossi. È straordina­rio: ride, scherza, le sue scenette sono nella memoria di tutti. Poi quando scende in pista diventa un killer, ma un killer simpatico. Davvero non so come faccia a restare al top da così tanto tempo».

Ci tolga una curiosità. Quando da ragazzino guardava la F1 in differita tifava per la Ferrari?

«Sì».

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I miei nonni parlavano più italiano che inglese Da voi ho vissuto quando ho iniziato a correre

d Ero l’unico della mia compagnia fissato con le corse Ho provato il surf, ma ho paura degli squali

d Hamilton favorito, ma Seb è lì: ama la F1, credo vada a letto col pc. Difetti? Ogni tanto esplode

 ?? (Getty Images) ?? Sorriso Daniel Ricciardo, 28 anni, ha esordito in F1 nel 2011
(Getty Images) Sorriso Daniel Ricciardo, 28 anni, ha esordito in F1 nel 2011
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