COMPETENZA PERCHÉ È UN VALORE
L a parola «populista» è assai vaga e tanti ne danno una definizione diversa. Un aspetto, però, accomuna molte definizioni: il rifiuto delle élites, della loro cultura, del loro modo di ragionare.
Combattere le élites non è una novità. Lo hanno fatto per secoli i partiti socialisti e comunisti. Ciò che distingue i populisti di oggi è che non solo combattono le élites (almeno così dicono) ma rifiutano anche la competenza, cioè la conoscenza acquisita con l’istruzione e l’esperienza, sia in campo tecnico sia nell’attività politica. I leader storici del Partito comunista italiano, da Togliatti a Berlinguer, non erano certo sostenitori delle élites, tuttavia non hanno mai rifiutato la competenza. Anzi. Oggi invece pare che essere incompetenti, non avere una buona istruzione, non aver alcuna esperienza, sia un merito.
Ma che cos’è la competenza? Cominciamo con un esempio economico. Due politici possono non essere d’accordo su quanto si debba redistribuire dai cittadini ricchi ai meno abbienti: mediante le tasse, la spesa pubblica, ad esempio un reddito di cittadinanza, o con leggi, come un salario minimo. Bene. La scienza delle finanze insegna come diversi modi per attuare un obiettivo di redistribuzione possano essere più o meno efficaci. Dove per «efficaci» si intendono politiche che raggiungano l’obiettivo redistributivo desiderato minimizzando i costi.
«Last Exit before Brexit», si intitola lo spettacolo teatrale che Bernard-henri Lévy porterà in scena il 4 giugno alla Cadogan Hall di Londra. Un monologo di quasi due ore (adattamento di «Hotel Europe» presentato a Sarajevo nel giugno del 2014) nel quale il filosofo francese si rivolge con passione ai britannici e agli altri europei per scuoterli: non possiamo lasciare che la Brexit accada davvero, l’europa senza il Regno Unito non può resistere come un uomo non può vivere se gli si stacca la testa. Nelle ore in cui gli europei finora distratti guardano con preoccupazione a quel che succede in Italia, Lévy attacca il sovranismo nel luogo dove la crisi è cominciata, la Gran Bretagna che due anni fa ha scelto con un referendum democratico di lasciare l’unione Europea. È una mozione dei sentimenti più che una proposta politica, quella di Lévy, che invoca l’anima dell’europa proprio quando il continente sembra avere perduto ogni slancio ideale. Altri, in Gran Bretagna, la pensano come lui e cercano di tradurre quel sentimento in azione politica: dai tories della camera dei Lord a non pochi esponenti del Labour e dei liberal democratici. Il paradosso è che proprio il leader più dotato di una visione pro-europea, e cioè Emmanuel Macron, connazionale di Lévy, sembra essersi rassegnato alla Brexit. I francesi non solo sembrano avere accettato la separazione da Londra, prevista per il 29 marzo 2019, ma sono sospettati di volerla rendere difficile, dolorosa e svantaggiosa al massimo per chi ha scelto di andarsene. Un modo per scoraggiare altri Paesi tentati dal lasciare, e anche per trarre profitto dalla Brexit. Come nota il Financial Times, Parigi sembra voler sostituire Londra come capitale della società aperta, della finanza e delle start-up. Dovesse il vetero-laburista Jeremy Corbyn entrare a Downing Street, il francese Macron conquisterebbe allora il ruolo di politico più liberale, pro-business e anglosassone d’europa, o di quel che ne resta.