Corriere della Sera

COMPETENZA PERCHÉ È UN VALORE

- Di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

L a parola «populista» è assai vaga e tanti ne danno una definizion­e diversa. Un aspetto, però, accomuna molte definizion­i: il rifiuto delle élites, della loro cultura, del loro modo di ragionare.

Combattere le élites non è una novità. Lo hanno fatto per secoli i partiti socialisti e comunisti. Ciò che distingue i populisti di oggi è che non solo combattono le élites (almeno così dicono) ma rifiutano anche la competenza, cioè la conoscenza acquisita con l’istruzione e l’esperienza, sia in campo tecnico sia nell’attività politica. I leader storici del Partito comunista italiano, da Togliatti a Berlinguer, non erano certo sostenitor­i delle élites, tuttavia non hanno mai rifiutato la competenza. Anzi. Oggi invece pare che essere incompeten­ti, non avere una buona istruzione, non aver alcuna esperienza, sia un merito.

Ma che cos’è la competenza? Cominciamo con un esempio economico. Due politici possono non essere d’accordo su quanto si debba redistribu­ire dai cittadini ricchi ai meno abbienti: mediante le tasse, la spesa pubblica, ad esempio un reddito di cittadinan­za, o con leggi, come un salario minimo. Bene. La scienza delle finanze insegna come diversi modi per attuare un obiettivo di redistribu­zione possano essere più o meno efficaci. Dove per «efficaci» si intendono politiche che raggiungan­o l’obiettivo redistribu­tivo desiderato minimizzan­do i costi.

«Last Exit before Brexit», si intitola lo spettacolo teatrale che Bernard-henri Lévy porterà in scena il 4 giugno alla Cadogan Hall di Londra. Un monologo di quasi due ore (adattament­o di «Hotel Europe» presentato a Sarajevo nel giugno del 2014) nel quale il filosofo francese si rivolge con passione ai britannici e agli altri europei per scuoterli: non possiamo lasciare che la Brexit accada davvero, l’europa senza il Regno Unito non può resistere come un uomo non può vivere se gli si stacca la testa. Nelle ore in cui gli europei finora distratti guardano con preoccupaz­ione a quel che succede in Italia, Lévy attacca il sovranismo nel luogo dove la crisi è cominciata, la Gran Bretagna che due anni fa ha scelto con un referendum democratic­o di lasciare l’unione Europea. È una mozione dei sentimenti più che una proposta politica, quella di Lévy, che invoca l’anima dell’europa proprio quando il continente sembra avere perduto ogni slancio ideale. Altri, in Gran Bretagna, la pensano come lui e cercano di tradurre quel sentimento in azione politica: dai tories della camera dei Lord a non pochi esponenti del Labour e dei liberal democratic­i. Il paradosso è che proprio il leader più dotato di una visione pro-europea, e cioè Emmanuel Macron, connaziona­le di Lévy, sembra essersi rassegnato alla Brexit. I francesi non solo sembrano avere accettato la separazion­e da Londra, prevista per il 29 marzo 2019, ma sono sospettati di volerla rendere difficile, dolorosa e svantaggio­sa al massimo per chi ha scelto di andarsene. Un modo per scoraggiar­e altri Paesi tentati dal lasciare, e anche per trarre profitto dalla Brexit. Come nota il Financial Times, Parigi sembra voler sostituire Londra come capitale della società aperta, della finanza e delle start-up. Dovesse il vetero-laburista Jeremy Corbyn entrare a Downing Street, il francese Macron conquister­ebbe allora il ruolo di politico più liberale, pro-business e anglosasso­ne d’europa, o di quel che ne resta.

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Puoi condivider­e sui social network le analisi dei nostri editoriali­sti e commentato­ri: le trovi su www.corriere.it Su Corriere.it
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