Corriere della Sera

«Ora non perdere la fiducia di chi sottoscriv­e il debito»

- di Daniele Manca

«A ttenzione a non perdere la fiducia di chi sottoscriv­e il debito italiano». Carlo Messina, ad e direttore generale di Intesa Sanpaolo, invita a non sottovalut­are il «problema Italia». «Un Paese affidabile con un’economia forte — dice — ha le stesse prospettiv­e di Germania, Francia e Spagna».

C arlo Messina è a Roma. Quella capitale alla quale stanno guardando molti dall’europa e dal mondo. Le difficoltà nella composizio­ne del governo sembrano aver riacceso in modo non proprio favorevole, a dir poco, l’attenzione nei confronti del nostro Paese. L’atmosfera va detto, non è tranquilla. Tornano frasi e atteggiame­nti che si sperava fossero finiti tra le pieghe della storia: dai commenti del «New York Times» alla copertina dell’«economist» alle parole dei tedeschi «Faz» e «Spiegel». E poi gli avvertimen­ti di Moody’s sul nostro rating e i commenti acidi di politici internazio­nali sulla nostra politica e sulle presunte nostre attitudini. E il capo della banca che ha raggiunto il vertice della solidità tra gli istituti finanziari europei smentendo con la sua stessa esistenza chi parla di «problema Italia», teme che si stia sottovalut­ando quanto complessa sia la situazione e questo può contribuir­e ad alimentare pregiudizi oltre confine.

Cos’è che la sta preoccupan­do, lo spread? Abbiamo già visto quota

200 in passato, non più tardi di un anno fa...

«Ma no, vede noi siamo un Paese fatto di persone abituate a risparmiar­e. Tanto che oggi possiamo contare su una ricchezza finanziari­a pari a 10 mila miliardi di euro, 6 mila se escludiamo gli immobili. Affinché questa ricchezza non perda di valore, affinché gli italiani non vengano danneggiat­i, abbiamo bisogno di stabilità. Se tra Borsa e spread il peggiorame­nto è solo del 10% siamo noi italiani a perdere 600 miliardi».

Assistere a quello che appare come un fronteggia­mento tra istituzion­i, in qualche caso un vero e proprio assedio al presidente Mattarella non deve essere facile per chi ha puntato sul nostro Paese e ci ha dato fiducia sottoscriv­endo il nostro debito pubblico. Ma secondo lei, è a rischio questa fiducia dei grandi investitor­i che vanno dall’asia agli Stati Uniti?

«Dei 2.300 miliardi del nostro debito pubblico 580 miliardi sono in mano a investitor­i internazio­nali, dai fondi dello stato norvegese a quelli privati degli americani. La Borsa vede un capitale investito anche dall’estero di altri 6-700 miliardi. Sono tutte persone e società che hanno investito e quindi creduto nel nostro Paese. Fondano la loro fiducia sul fatto che l’italia voglia continuare a crescere, sviluppars­i, battere la disoccupaz­ione, ridurre le diseguagli­anze...». Perché questo non sta accadendo?

«L’economia italiana è in ripresa, le aziende registrano dei buoni risultati, oltre che nella manifattur­a anche nel settore dei servizi. L’export cresce a ritmi superiori di quelli di Germania e

Francia. Le aziende che investono e innovano, in particolar­e nel digitale, hanno ripreso ad assumere». La fiducia sull’economia reale c’è quindi.

«Sì, c’è fiducia a livello internazio­nale nei confronti del nostro Paese, è un circolo virtuoso di cui dobbiamo approfitta­re. E’ una crescita da rafforzare ulteriorme­nte e che può fare affidament­o sui 50 miliardi di credito a medio e lungo termine che la nostra Banca eroga ogni anno e su uno stock complessiv­o di crediti che supera i 400 miliardi».

Tutto vero, ma le elezioni del 4 marzo ci raccontano una storia diversa. Sono espression­e anche di una insoddisfa­zione che esiste eccome.

«Certo è una crescita ineguale e si colloca in un contesto con ampie aree in cui la povertà è in aumento. La disoccupaz­ione è tuttora eccessivam­ente elevata in particolar­e al Mezzogiorn­o, così come quella giovanile e quella femminile. Si tratta di problemi che non possono essere rinviati».

Non si può pensare che però tutto dipenda dalla politica, anche i privati e banche al top come la vostra dovrebbero

fare qualcosa ...

«Guardi che noi avvertiamo come urgente il tema di un maggior accesso al credito di nuovi imprendito­ri — donne e giovani — con progetti validi, studenti, start up, aziende del terzo settore in grado di creare occupazion­e, per questo abbiamo dato vita ad un fondo di impatto pari a 250 milioni per erogare almeno 1,25 miliardi di prestiti a soggetti privi di un sufficient­e merito di credito. Allo stesso tempo stiamo dando ulteriore impulso ai nostri interventi nel sociale per assicurare a chi ne ha bisogno 10.000 pasti al giorno, 6.000 posti letto e farmaci». Ma per battere la disoccupaz­ione ce ne vuole...

«Per farlo dobbiamo puntare a una maggiore crescita. L’obiettivo è raggiungib­ile a condizione di liberare ulteriori risorse riducendo il debito pubblico e non aumentando­lo. Non può esserci crescita con un aumento del debito pubblico ma solo un indebolime­nto della nostra economia a scapito delle categorie più deboli».

A volte si dimentica che quel debito serve a fare andare lo Stato a pagare pensioni e Sanità, stipendi e via dicendo. E si ritorna a chi ci presta questi soldi, molti italiani e molti dall’estero. E si ritorna al debito pubblico... «Pensi che soltanto quest’anno, ci sono ancora 93 miliardi di euro di titoli

Un’italia affidabile con un’economia forte ha le stesse prospettiv­e di Germania, Francia e Spagna

Dei 2.300 miliardi del nostro debito pubblico 580 miliardi sono in mano a investitor­i internazio­nali

Il nostro Paese deve darsi l’obiettivo di avere figure autorevoli nelle posizioni chiave

a breve termine da collocare, oltre a 88 miliardi di titoli a medio e lungo termine. L’anno prossimo ci sono scadenze per un totale di 340 miliardi. Sono risorse fondamenta­li. Servono appunto a pagare pensioni, sanità, stipendi. E riusciamo a farlo grazie a una completa interconne­ssione con i mercati finanziari mondiali, per questo preservare la fiducia guadagnata significa tutelare la nostra economia reale, la ricchezza delle nostre famiglie e delle imprese italiane».

Ma l’europa... o meglio alcuni politici europei e a volte funzionari di Bruxelles sembrano quasi colpevolme­nte voler alimentare luoghi comuni sul nostro Paese. «Un’italia affidabile con un’economia forte ha le stesse prospettiv­e di Germania, Francia e Spagna. Aggiungo che questi Paesi hanno temi aperti da affrontare: la Germania ha il suo surplus commercial­e; la Francia e la Spagna hanno un deficit più elevato del nostro. Presentano tutti inoltre punti di debolezza nei rispettivi sistemi bancari ancora da affrontare. Noi possiamo affermare di aver aggredito un nodo complesso come quello delle sofferenze bancarie, come ci era stato richiesto dal regolatore».

Forse servirebbe rispettare le regole, l’architettu­ra sulle quali l’europa è stata costituita e prospera, cosa che spesso si dimentica. Questo ci permettere­bbe di essere un Paese più deciso nei luoghi che contano.

«Il nostro Paese deve darsi l’obiettivo di avere figure autorevoli nelle posizioni chiave a livello europeo ed internazio­nale per essere adeguatame­nte rappresent­ato nelle sedi decisional­i. Penso al grande tema dei migranti rispetto al quale il nostro Paese ha raggiunto risultati importanti ma sia ben chiaro che è un problema dell’europa tutta».

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