Giornali e big del web, prove di dialogo
Bagnaia, il convegno dell’osservatorio. Il presidente Ceccherini: «Insieme si va più lontano»
L’evento
● È arrivato alla decima edizione l’appuntamento «Crescere tra le righe» organizzato dall’osservatorio permanente giovani-editori a Borgo La Bagnaia, nel Senese BAGNAIA (SIENA) Dopo anni di accuse reciproche si è arrivati alle prove tecniche di dialogo: aperto, franco e spigoloso. È quello che è avvenuto al convegno «Crescere fra le righe», organizzato dall’osservatorio permanente giovani-editori, guidato da Andrea Ceccherini, fra i rappresentanti dei colossi della Rete e quelli dei gruppi editoriali sul problema dello sfruttamento dei contenuti.
Ieri, è stato l’ad di News Corp, Robert Thomson, a puntare l’indice sugli algoritmi che categorizzano le notizie in Rete: «Ci vuole un organo di controllo perché bisogna sapere se sono creati per uno sfruttamento commerciale, se incidono sulla privacy oppure se violano il diritto d’autore». La questione è stata anche al centro del dibattito conclusivo, moderato dai direttori Maurizio Molinari (La Stampa) e Virman Cusenza (Il Messaggero). «Non chiediamo la luna — ha detto Gerard Baker, direttore del Wall Street Journal — ma serve una distribuzione più equa dei guadagni o i nostri editori non ce la faranno più perché i colossi della Rete hanno fagocitato gran parte degli introiti pubblicitari». Una tesi respinta da Richard Gingras, vicepresidente di Google News: «Agli editori abbiamo distribuito ricavi pubblicitari per 12,7 miliardi di dollari, ogni mese da Google partono più di 10 milioni di visite alle pagine dei giornali, sarei cauto anche sul creare su un’istituzione che decide quale sia il giornalismo di qualità perché non dobbiamo creare strumenti artificiali». Per Alex Hardiman, capo delle News di Facebook, bisogna «cercare strade percorribili perché vogliamo creare strumenti utili per l’editoria, sviluppare gli abbonamenti e i ricavi pubblicitari e per favorire le notizie di qualità investiremo oltre 19 milioni di dollari contro le fake news».
Peter Greenberger, numero uno delle News di Twitter, ha aggiunto che sul loro social «gli utenti sono assetati di notizie, c’è la più grande concentrazione di abbonati di grandi giornali. Vogliamo essere un ponte per spingerli verso i siti dei quotidiani e per convertirli in abbonati».
Aperto al dialogo è Dean Baquet, direttore del Nyt: «La crescita dei nostri abbonamenti dimostra che i lettori pagano per la qualità e sogno che l’informazione di qualità diventi indispensabile». Distensivo è Martin Baron, direttore del Washington Post: «Non siamo in guerra, abbiamo differenze di opinioni con i colossi della Rete che però ci hanno consentito di distribuire i contenuti in un modo che per noi, da soli, sarebbe stato impossibile». Del resto era stato Ceccherini ad augurarsi che la parola dominante di Bagnaia diventasse «apertura»: «Sono convinto che tutti hanno capito che da soli si va più veloce, ma è solo insieme che si va più lontano».