E Colombo scoprì i vitigni dei Caraibi
L’atlante di Mario Fregoni (Città del Vino) sulle uve del Nuovo Mondo e del continente asiatico
Giunto nell’area dei Caraibi, Cristoforo Colombo si sarà imbattuto in «molti alberi coperti da liane di viti selvatiche, resistenti al freddo, ricche di fiori e di grappoli che emanavano un profumo penetrante ed attraente di fragola, con bacche dolci a maturazione il cui aroma sarebbe stato riconosciuto molto più tardi come furaneolo, e avrà sentito al gusto il sapore foxy o selvatico e amaro, tipici delle uve americane».
Spuntano dal diario di bordo del grande navigatore la «Punta Uvero» a Cuba, l’isola di Uvita in Costa Rica e la descrizione delle bacche buone e tonde raccolte ad Haiti. Le stesse che daranno probabilmente la definizione di «uva fragola» che affianca il nome ufficiale di «uva Isabella» in onore della regina spagnola che appoggiò le spedizioni di Colombo.
Inizia con questo intreccio storico l’ultimo libro di Mario Fregoni, Le viti native americane e asiatiche (Città del Vino), un «prontuario» ad uso di viticoltori, studiosi e amatori che approfondisce le caratteristiche genetiche delle piante delle due grandi aree geografiche. La conoscenza dettagliata degli ibridi è essenziale per la resa della qualità dell’uva. Nei Caraibi, caratterizzati da un clima tropicale senza inverno, la vite cresce come pianta sempreverde e presenta nello stesso momento le varie fasi vegetative. Le piante non vanno mai in riposo e si riproducono tre o quattro volte all’anno.
Usati nella viticoltura mondiale sin da metà dell’ottocento, i portinnesti di origine americana sono altamente resistenti agli attacchi di gravi malattie come la fillossera; mentre le asiatiche Vitis silvestris e Vitis vinifera dalle antiche radici caucasiche caratterizzano le viti da vinificazione. Passandole in rassegna il libro di Mario Fregoni diventa un atlante completo, con illustrazioni di ibridi e portinnesti e con le viti che si adattano alla siccità o alle carenze ambientali.