NUOVI SCHIAVI?
L’appuntamento Torna il Festival dell’economia di Trento. Quest’anno si riflette sul futuro dell’occupazione e sul ruolo dell’intelligenza artificiale. Uno studioso di queste tematiche mostra ottimismo: non scompariranno i posti, ma di certo, senza interv
«T utti disoccupati o in vacanza perenne perché i robot ci sostituiranno in tutti i mestieri? No, non credo all’apocalisse del lavoro. L’uomo, almeno nel futuro che riesco a prevedere, troverà ancora impieghi. Il problema sarà quello della loro qualità e della loro remunerazione. Spesso sarà bassa: tutto fa prevedere un ulteriore aumento delle disuguaglianze, in assenza d’interventi».
Grande economista del lavoro dell’università di Harvard e studioso dell’impatto dell’automazione sulle professioni (dirige lo specifico programma creato dal Nber, il centro federale di ricerche economiche), Richard Freeman respinge gli scenari da «fine del lavoro», ma vede comunque montare un’emergenza legata a sperequazioni crescenti nella distribuzione dei redditi. Temi che verranno discussi nei prossimi giorni dal Festival dell’economia di Trento: apertura giovedì proprio con Freeman.
L’intelligenza artificiale, a parere di molti esperti, sostituirà entro pochi anni dal 30 al 50% dei lavori oggi svolti da esseri umani. E crearne di nuovi non sarà facile. Una bomba sociale o un’evoluzione gestibile?
«Non credo alla massiccia sparizione di posti di lavoro. Non per i prossimi 10-20 anni, almeno. È vero che l’intelligenza artificiale ha imparato a battere l’uomo anche in giochi complessi come Go, ma costruire questi robot costa enormemente di più che far disputare le partite da una persona in carne ed ossa. Versatilità e flessibilità biologica ci danno ancora un vantaggio comparativo sulle macchine in molti campi. Il vero problema è il reddito: quale sarà l’impatto dell’intelligenza artificiale nella distribuzione della ricchezza nata da un processo produttivo? Quanto andrà all’uomo e quanto a chi controlla le macchine? È qui che rischiamo un forte aumento delle diseguaglianze».
Reddito di cittadinanza in Italia, universal basic income negli Usa: i progetti per affrontare il problema non mancano ma non ci sono soluzioni facili e la parola «redistribuzione» negli Usa suscita una diffusa ostilità. Vede strade praticabili?
Questione di costi Costruire questi robot oggi costa molto di più che impiegare delle persone in carne ed ossa
«Sì. Dobbiamo dividere la retribuzione in due parti: ogni lavoratore, oltre allo stipendio, dovrebbe ricevere una quota dei profitti della sua azienda o una quota della proprietà azionaria. L’altra strada possibile è quella di distribuire una quota del valore della produzione nazionale attraverso fondi sovrani che paghino un dividendo a tutti i cittadini. Esistono già vari esempi. Quello che preferisco è il modello dell’alaska Permanent Fund, che distribuisce una parte delle royalties petrolifere incassate a tutti i cittadini dello Stato (di recente hanno incassato cifre dai 1000 ai 2500 dollari l’anno, a seconda della congiuntura energetica). La Norvegia potrebbe fare lo stesso col suo Oil Fund. In Gran Bretagna è stata proposta un’imposta patrimoniale per dare ai giovani una dote iniziale di 10 mila sterline. Assegnare una parte del patrimonio nazionale ai cittadini risolverebbe molti problemi. Marx immaginava lavoratori proprietari dei mezzi di produzione. Le imprese più lungimiranti cercano di motivare i lavoratori trasformandoli in azionisti».
Così anche un’eventuale invasione dei robot spaventerebbe di meno: cosa avverrebbe in un mondo pienamente Le foto
In alto, un episodio della serie «Black Mirror», dal titolo «White Christmas». Sotto, il film «Io, Robot», 2004
automatizzato?
«Dovremmo imparare a vivere da ricchi oziosi, fare ciò che ci piace. Ma per ora credo che i robot li useremo soprattutto per curare le nostre piaghe: mutamenti climatici, problemi energetici, salute. Ma immagini un’intelligenza artificiale alla guida di un’azienda o presidente degli Stati Uniti. O anche dell’italia e, magari, della Russia».
Quasi cento anni fa John Maynard Keynes aveva previsto, nella lettera scritta ai suoi pronipoti, che entro un secolo l’automazione avrebbe moltiplicato di otto volte la ricchezza liberando totalmente l’uomo dal lavoro. Unico problema, quello psicologico: cosa farsene di tutto quel tempo libero? Sul reddito ha quasi indovinato. Sul lavoro no. Come mai?
La seduzione «virtuale» In un mondo del tutto automatizzato, io credo che finiremmo per vivere immersi nella rete
«Ha sottostimato la voglia della gente di avere più beni e servizi. I suoi pronipoti vogliono di più e per ottenerlo sono disposti a continuare a lavorare duro. In un ipotetico mondo di intollerabile abbondanza che opportunità avremmo? Ne vedo quattro: fare festa tutti i giorni; vivere vite virtuose riempite di arte e cultura; dividerci il poco lavoro lasciato dalle macchine; passare il tempo immersi nella realtà virtuale. Penso che prevarrebbe quest’ultima opzione. Per fortuna credo che, anche nello scenario più automatizzato, non arriveremo a tanto: non saremo liberi dal lavoro, ma lavoreremo con o per l’intelligenza artificiale dei robot».
FREEMAN: «IL LAVORO NON FINIRÀ MA I ROBOT CREANO SQUILIBRI»