Il Giro perfetto di Froome
Il trionfo rosa di Chris «Ho la coscienza pulita le mie imprese nella storia Per me l’italia è speciale»
CERVINIA L’asfalto è finito, la salita muore tra lo skilift chiuso per ferie e il negozio di souvenir aostani. Ora rimangono solo i sampietrini e le buche di Roma. Il Giro della rivoluzione del giovane Simon Yates (13 giorni in rosa per chiudere 22° a un’ora e un quarto dal leader: una prece) è il Giro della restaurazione del veterano Chris Froome, che si prende tutto rischiando di perdere tutto quando la telenovela del salbutamolo, finalmente, arriverà a conclusione. «Ho la coscienza pulita: sono certo che le mie imprese in Italia rimarranno nei libri di storia» dice l’impunito distribuendo sorrisi fedele alla nuova policy aziendale del Team Sky, la multinazionale normalizzata dall’enorme umanità del Giro (la sua forza): gentilezza, condivisione (ma non dei dati del transponder personale nella cruciale tappa di venerdì, gli rimprovera un giornalista olandese), disponibilità (visto anche il boss Dave Brailsford in fratino giallo sul Colle delle Finestre ad allungare borracce a Chris).
Froome infila la tripletta che non riusciva dai tempi di Merckx (’72-’73) e Hinault (’82-’83), Tour-vuelta-giro consecutivi, perché osa quando i rivali contengono (Zoncolan) e straripa quando gli altri rimangono aggrappati con timore ai propri argini (Bardonecchia). L’ottimo Tom Dumoulin, per tre settimane granatiere solitario a difesa dei suoi possedimenti («Ho dato tutto, non ho rimpianti: sono super orgoglioso di me»), prova quattro volte a far cadere l’alieno dal pianeta lontano su cui abita ma la strada che sale a Cervinia è troppo corta per poter ospitare un terremoto last minute. Scatto: Froome è un francobollo. Scatto bis: Froome non fa un plissé. Terzo tentativo: Froome ricuce subito. Quarto, disperato, allungo in galleria: macché. Con i muscoli lisi, le menti logore e le energie contate non si fanno miracoli.
A 1700 metri dal traguardo, con Nieve vincitore di tappa e Pinot cotto dal Finestre alla deriva (arriverà con 45’32” di ritardo, sprofondando da 3° a 16° e finirà disidratato all’ospedale di Aosta), l’arancia spremuta capitola a testa alta senza rispondere alla pacca sulla spalla di re Chris I, il rivale a cui aveva consigliato di restare a casa («Nelle sue condizioni, non sarei venuto»).
Froome, Dumoulin, Lopez (maglia bianca) è il podio che oggi ai Fori Imperiali chiuderà il libro di questo romanzo popolare cominciato in Israele con la caduta nella ricognizione della crono dell’inglese, mostruoso nell’abilità di lasciarsi alle spalle le avversità. Di qualsiasi genere: «È stato un Giro brutale, cominciato come peggio non avrebbe potuto. Ho corso con il morale a pezzi e il corpo dolorante. I compagni di Sky mi hanno detto: stai tranquillo, crediamo in te, nella terza settimana può succedere di tutto. Avevano ragione, li ringrazio. Vincere il Giro è l’apice della mia carriera, per me l’italia è speciale: la farò conoscere ai miei figli. Non ho mai pensato al salbutamolo, solo alla corsa».
C’è qualcosa di quasi mistico nella figura ascetica di quest’uomo allampanato e magrissimo, trafitto come un martire (la crosta sul ginocchio, il gomito ancora sbucciato) dalla violenza di venti tappe senza riguardi per nessuno, nemmeno per il campione dei quattro Tour, di una gentilezza imbarazzante (una volta non era così) anche di fronte alle domande più dirette, certo contento di approfittare di tutti i vantaggi della ricchezza di Sky (l’elicottero dopo la cotta di Sappada, per esempio) però capace di inedita generosità: il frullino sullo Zoncolan, la pazza fuga di 80,2 km tra sterrato e discesa sulla Cima Coppi, le parole con cui si è ricordato di compagni di squadra e tifosi. «Sono emozionato» sussurra con gli occhi lucidi e il rossetto della miss sulla guancia. Per un attimo, alla fine, marziano come noi.
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Tripletta di Froome: Tourvuelta-giro, come Merckx (‘72-73) e Hinault (‘82-’83)
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giorni in rosa per Yates per chiudere 22esimo a un’ora e un quarto da Froome