Corriere della Sera

Un’edizione da sogno ma non per gli italiani La crisi

Il flop azzurro: nessuno sul podio e solo tre nei primi 20

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Il ciclismo azzurro ringrazia sentitamen­te Thibaut Pinot (che ha finito il Giro all’ospedale) per essere colato a picco ieri sulla prima salita ed essere arrivato a braccetto del carro scopa, tre quarti d’ora dopo Mikel Nieve. Lo sventurato francese ha permesso a Mimmo Pozzovivo di riagguanta­re il 5° posto e a noi italiani di non mancare — sarebbe stata la prima volta in 101 edizioni — un piazzament­o tra primi 5 in classifica.

Magra consolazio­ne: il Giro 2018 resta, purtroppo, il peggiore della nostra storia ciclistica. Mai prima di ieri tre soli azzurri nei primi venti (con il Pozzo anche Formolo, 10°, e Brambilla, 19° a più di un’ora), mai soltanto 12 nei primi 50, con distacchi dal podio vertiginos­i. In oltre un secolo di Giro, poi, è soltanto la sesta volta che l’italia non sale sul podio. Raramente un grande favorito si era liquefatto con la rapidità e l’assenza di motivazion­i di Fabio Aru, raramente si era vista così poca voglia di lottare per la vittoria, a parte la fiammata di Enrico Battaglin e le volate (su una corsia separata) dell’olimpionic­o Viviani. Formolo e Ciccone, da tre anni presunti «uomini del futuro» per i grandi giri, si sono accontenta­ti di qualche scattino mentre Mareczko e Guardini, in teoria i velocisti di punta del movimento, abilissimi a

● Grazie a Pozzovivo il ciclismo italiano ha agguantato il quinto posto in classifica generale: non ci fosse stato il Pozzo sarebbe stato il primo Giro senza italiani nei primi 5

● Solo 12 italiani si sono piazzati tra i primi 20, non era mai successo

● Nessun italiano è salito sul podio: in 101 edizioni è successo soltanto sei volte

● La Wilier, squadra italiana, ha chiuso complessiv­amente con mezza giornata di distacco da Sky sprintare in Malesia e Marocco, si sono ritirati prima che cominciass­ero le volate vere.

Ma la misura statistica precisa del nostro disagio la offre la classifica a squadre, che somma i tempi dei tre migliori corridori di ciascun team. Decorosa la prova a metà classifica dell’androni, molto modesta quella della Bardiani, penultima, imbarazzan­te la Wilier che, presente da anni grazie a una wild card, accusa mezza giornata di distacco da Sky e quattro ore dalla penultima. Insomma, per quanto riguarda i grandi giri dietro a San Vincenzo Nibali da Messina c’è davvero poco.

Di chi è la colpa? Il Giro, come il Tour de France, invita (quasi) tutti i team tricolori di seconda fascia per sostenere la loro attività e dar loro visibilità. Ma mentre Oltralpe dietro le squadre ci sono grandi marchi bancari, assicurati­vi e telefonici, da noi i team manager (gli stessi da trent’anni, con strutture di gestione familiari) raccolgono sponsor piccoli e medi e, più che a sviluppare un progetto, pensano a garantirsi la partecipaz­ione al Giro per gratificar­li. I francesi si fanno gamba ed esperienza nel ricco e durissimo calendario del nord Europa (Belgio, Germania, Olanda), i nostri si misurano con un programma nazionale esangue e corse esotiche di modesto valore che le vittorie di tappa conquistat­e finora dai ciclisti italiani: quattro del velocista Elia Viviani e una di Enrico Battaglin

All’estero

Non abbiamo grandi squadre e i talenti azzurri vanno all’estero a fare i gregari

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