La via stretta del voto a settembre, una partita sull’euro
È difficile immaginare colpi di scena in un Parlamento militarizzato, perciò appare impossibile che il «governo di emergenza» a cui sta lavorando (e non da ieri) Mattarella possa ottenere la fiducia delle Camere. Semmai la figura di Cottarelli — che pure era stato rincorso da quasi tutti i partiti in campagna elettorale per essere inserito nelle rispettive squadre ministeriali — è una forma di garanzia che il capo dello Stato offre ai mercati per fronteggiare la loro reazione dopo il default dell’esperimento Conte. L’obiettivo primario del Colle, al momento, è impedire che la drammatica crisi politica e istituzionale impatti pesantemente sull’economia nazionale. Ma non c’è dubbio che la mossa di Mattarella celi anche un altro intento: far leva sul senso di responsabilità dei gruppi parlamentari perché accettino di far approvare dal futuro gabinetto tecnico quantomeno la legge di Stabilità e magari anche una nuova legge elettorale, così da tornare alle urne all’inizio del nuovo anno. Il fatto è che Cinquestelle e Lega dispongono dei numeri per bloccare una simile operazione, e si preparano a impedire il disegno del Quirinale per non perdere la loro golden share ed evitare che in corso d’opera si consolidino nelle Camere altri equilibri, capaci di far durare la legislatura. Se questi sono i margini di azione, lo sbocco sono le elezioni anticipate, che i partiti già immaginano fissate nella seconda domenica di settembre. E dal modo in cui ci si avvicinano, è evidente che non saranno un test ordinario: saranno un referendum sull’europa, sull’euro e anche sul modello costituzionale italiano. Perché è altrettanto evidente che la presidenza della Repubblica — investita dalla minaccia di impeachment — diventerà in campagna elettorale uno dei bersagli del fronte populista e sovranista. È vero che la messa in stato d’accusa di Mattarella evocata dai Cinquestelle e da Fratelli d’italia è solo una spregiudicata manovra tattica. Serve ai due partiti per uscire dall’angolo in cui — a vario titolo — sono stati cacciati dalla Lega. È un modo per riacquisire autonomia e visibilità: Di Maio ne fa uso per non perdere la leadership grillina minacciata dal movimentista Di Battista; la Meloni per non perdere i voti minacciati dal movimentismo di Salvini. Che non a caso si smarca da M5S e FDI. Certo, anche il capo del Carroccio punterà contro il Colle, ma lo farà sfruttando un’altra arma, capace a suo giudizio di catalizzare il consenso: è l’economista Savona, che è già diventato l’icona del leader sovranista. In Italia come in Europa userà le sue idee (più della sua figura) nella battaglia del «popolo contro le élite», sarà lo strumento con cui puntare a palazzo Chigi, dopo aver egemonizzato definitivamente ciò che resta del vecchio centrodestra. Con la Meloni nel cono d’ombra leghista, gli resta da chiudere il conto con Forza Italia. E Berlusconi dispone di pochi margini, come si è visto ieri dalla sua nota dopo il discorso di Mattarella: un conto sono state le parole rispettose verso il capo dello Stato e la critica per l’iniziativa dell’impeachment, che lo uniscono di fatto al Pd; altra cosa il messaggio rivolto a Salvini, la garanzia che non appoggerà il governo tecnico, perché «ove necessario siamo pronti al voto». Chiamato a una «scelta di campo», il Cavaliere sceglie l’alleato con cui era andato al voto a marzo. Ma la coalizione che potrebbe risultare vincente nelle urne avrebbe un’altra fisionomia. E questo pone in prospettiva dei problemi a Forza Italia: a parte la distribuzione dei collegi, a vantaggio del Carroccio, come farà Berlusconi a marciare insieme a Salvini che si prepara ad attaccare quelle istituzioni comunitarie dove siede il presidente dell’europarlamento Tajani? Che fine faranno le garanzie offerte al Ppe di proporsi come l’«argine alla deriva populista»? La verità è che il blocco europeista italiano rappresentato da FI e Pd verrebbe colto di sorpresa dal voto anticipato, diviso dal vecchio schema bipolare popolari-socialisti e chiamato a frenare senza armi il blocco sovranista in fase crescente. Non sarebbero elezioni, sarebbe un’ordalia.
Bersaglio
Il Colle diventerà in campagna elettorale uno dei bersagli del fronte populista e sovranista