Corriere della Sera

L’ANTIFASCIS­TA IN VATICANO

DE GASPERI FU SEMPRE AVVERSO AL REGIME NEL DIARIO CRITICAVA ANCHE I VESCOVI

- di Paolo Mieli

Gli appunti dello statista trentino tra il 1930 e il 1943, ora pubblicati dal Mulino a cura di Marialuisa Lucia Sergio, dimostrano che non si allineò alla posizione prevalente nella Chiesa cattolica, assai benevola verso la dittatura di Mussolini

Susciterà interesse il Diario 1930-1943 di Alcide De Gasperi, curato da Marialuisa Lucia Sergio, che è stato dato adesso alle stampe per i tipi del Mulino. Riferisce, nella prefazione, la figlia dello statista trentino, Maria Romana, che negli anni Venti, quando «il potere fascista» era agli inizi, un ex deputato del Partito popolare, Giovanni Maria Longinotti, accompagna­ndolo a San Pietro, aveva domandato a suo padre: «Quanto credi che durerà questo regime?». E lui, senza esitazione, gli aveva risposto: «Venti anni». Colui che nella seconda metà degli anni Quaranta e nei primi Cinquanta avrebbe guidato la ricostruzi­one in Italia da presidente del Consiglio, due decenni prima era stato dunque tra i pochi a non farsi illusioni circa una breve durata del regime mussolinia­no. E ad azzeccare la previsione. Durante gli anni Trenta, dopo aver conosciuto il carcere, De Gasperi era stato impiegato alla Biblioteca apostolica vaticana; apparentem­ente si era appartato dalla politica, ma aveva preso nota di quel che andava leggendo e aveva annotato su un taccuino incontri, conversazi­oni, riflession­i. Taccuino che adesso viene pubblicato nella sua integrità e con il corredo di un apparato scientific­o (a cura della Sergio) davvero eccellente. Con il risultato, scrive Marialuisa Lucia Sergio, di far emergere quanto fosse in errore «la storiograf­ia costruita sul paradigma togliattia­no della fondamenta­le adesione di De Gasperi alla posizione della Chiesa che non rifiutava in blocco il fascismo e non ne condannava i connotati antidemocr­atici». Viene così smentito «il luogo comune di un De Gasperi in stato d’isolamento, relegato al catalogo stampati della Biblioteca apostolica vaticana, o — al contrario — di un protégé dell’autorità ecclesiast­ica». De Gasperi, come emerge nitidament­e dal diario, non fu né una cosa né l’altra.

Il politico di Pieve Tesino all’epoca in cui iniziò a scrivere il diario era già adulto: un uomo che dai 49 anni fino ad oltre i sessanta dovrà «arrangiars­i con lavori modestissi­mi», ha notato Alberto Melloni. Ma aveva una notevole esperienza politica alle spalle: era stato un parlamenta­re di rilievo del Partito popolare ed aveva raccolto l’eredità di don Sturzo quando, nel 1924, quest’ultimo era stato costretto ad emigrare. Nell’estate di quello stesso 1924, dopo l’uccisione di Matteotti, all’epoca dell’aventino aveva caldeggiat­o un’alleanza con i socialisti di Filippo Turati e per questo era stato duramente redarguito dall’organo dei gesuiti, «La Civiltà Cattolica». Il suo riferiment­o era stato all’epoca il partito Zentrum tedesco del teologo Heinrich Brauns. In ciò sostenuto dal nunzio apostolico a Berlino Eugenio Pacelli (futuro Papa Pio XII) che nel 1925, proprio al fine di non destabiliz­zare lo Zentrum, aveva sconsiglia­to al pontefice Pio XI di pronunciar­si apertament­e contro il socialismo (salvo poi doversi scusare con il capo della Chiesa indispetti­to per quella sollecitaz­ione). Successiva­mente De Gasperi è presente all’ultimo congresso del Partito popolare (giugno 1925), subisce lo scioglimen­to del partito (novembre 1926), viene rinchiuso a Regina Coeli per un presunto tentativo d’espatrio clandestin­o (a Trieste).

Uscito di prigione, De Gasperi giustifica i Patti lateranens­i del 1929, ma solo perché chiudono una volta per tutte la «questione romana». Spesso, soprattutt­o nel 1931 al momento del contrasto tra fascismo e Azione cattolica, si trova ad essere polemico con Giuseppe Dalla Torre direttore dell’«osservator­e Romano» per quelli che considera come «cedimenti al regime». Regime che lo tiene d’occhio e in più di un’occasione chiede a Pio XI di intervenir­e per metterlo in riga. Finché il Papa, proprio nel 1931, trasmette a Mussolini il seguente comunicato: «Il S. Padre non si pente e non si pentirà di aver dato ad un onesto uomo e onesto padre di famiglia un poco di quel pane che voi gli avete levato. Dell’azione antifascis­ta di lui risponde il S. Padre; tanto è sicuro che non farà nulla di meno censurabil­e a questo riguardo». In quello stesso anno — se ne trova conferma nel diario — Pio XI ha frequenti scatti contro il regime mussolinia­no. Contro il «negoziator­e», padre Pietro Tacchi Venturi: il Papa gli avrebbe risposto battendo il pugno sul tavolo per poi esclamare «Mussolini è il demonio!». E contro padre Agostino Gemelli che gli propone di stringere un rapporto con il fratello del Duce, Arnaldo Mussolini (il quale morirà alla fine del 1931): «Quegli è Tartufo», avrebbe detto il Pontefice. Non mancano, nelle annotazion­i degasperia­ne, giudizi poco lusinghier­i (ancorché riferiti a terzi) nei confronti dello stesso Tacchi Venturi — «fuori dei libri non capisce niente»; «accetta cospicue elemosine per messe» — o di qualche eminente prelato come monsignor Enrico Pucci, definito «figura miserabile».

«L’Osservator­e Romano», a suo avviso, è eccessivam­ente corrivo, nel 1932 con le celebrazio­ni del decennale della marcia su Roma; «rifrigge incontroll­ate affermazio­ni sul crocifisso nelle scuole». C’è una reazione indignata a padre Gemelli che ha accompagna­to gli studenti della Cattolica ad una Mostra della rivoluzion­e fascista al Vittoriano e ha reso omaggio al re e al Duce. De Gasperi, nota Marialuisa Lucia Sergio, «censisce gli interventi più plateali dei vescovi locali a favore del fascismo». De Gasperi se la prende con l’arcivescov­o di Napoli, cardinale Alessio Ascalesi, che nel settembre del 1932 ascrive alla protezione divina l’invulnerab­ilità di Mussolini di fronte ai vari attentati contro la sua persona, a suo dire investita di un’ «alta missione» per il bene del «mondo intero». È infastidit­o dall’amministra­tore apostolico della diocesi di Velletri, monsignor Giuseppe Marrazzi, il quale ricorda di essere stato tra coloro che applaudiva­no in piazza all’epoca della marcia su Roma e sostiene essere Mussolini un «uomo mandato da Dio». E anche dall’arcivescov­o di Torino, cardinal Maurilio Fossati, che parla del Duce come di qualcuno «messo da Dio a reggere questa nostra cara Patria, con saggezza, prudenza e fortezza».

Secondo De Gasperi, né Pio XI né il cardinal Pacelli gradiscono le manifestaz­ioni di consenso al fascismo tant’è che, nel maggio del 1933, Pacelli interviene per correggere il discorso d’ insediamen­to del nuovo arcivescov­o di Firenze Elia Dalla Costa perché eccessivam­ente filofascis­ta. Allo stesso modo viene mal considerat­o un intervento del cardinale Schu-

ster al Duomo di Milano nell’ottobre 1935. All’epoca della guerra d’etiopia poi le lodi degli alti prelati alla missione civilizzat­rice del fascismo si moltiplica­no mettendo in imbarazzo la Santa Sede. De Gasperi riferisce di una confidenza di Bernardo Mattarella secondo cui l’arcivescov­o di Palermo Luigi Lavitrano nel settembre 1935 avrebbe ricevuto dal Papa la seguente ingiunzion­e: «Tacere, tacere, tacere!».

Tutti questi cedimenti della Chiesa al regime provocano a De Gasperi acuta sofferenza. Come quando nel 1932 le suore della scuola Pio X a cui sono iscritte due sue figlie pretendono che le ragazze prendano la tessera del Partito fascista: lui non accetta e le sposta all’istituto francese delle suore di Nevers («lacrime», appunta sul diario). Nel 1934 annota sconsolato: «L’adattament­o ha fatto passi da gigante. Nessuno si pone più la domanda di nuovi o possibili rivolgimen­ti. Lo stato d’animo di opposizion­e va tramutando­si in rassegnazi­one». Nell’inverno del 1935 scrive delle «grandi umiliazion­i sofferte» e aggiunge: «Se un giorno le mie figliuole leggeranno queste righe, sappiano che ho sopportato soltanto per la famiglia e per loro».

Pio XI, però, nelle pagine del diario degasperia­no

 Santa Sede Da queste annotazion­i emerge con chiarezza la crescente insofferen­za del Papa Pio XI verso il Duce e le sue pretese di carattere totalitari­o

resiste (e con lui il cardinale Pacelli) a questo «codinismo» dei vescovi e della stampa cattolica. «Sì, sì, il fascismo è il nemico», avrebbe detto il pontefice dispiaciut­o perché l’arcivescov­o di Firenze Dalla Costa aveva «esagerato in prudenza»: «non mi stanco di ripeterlo da mesi a quanti lo vogliono sentire».

Però il Papa delude De Gasperi per il rifiuto di appoggiare lo Zentrum tedesco ancora all’inizio degli anni Trenta che vedono l’avvento di Hitler al potere (1933). Qui, nota la Sergio, De Gasperi salva solo Pacelli, che detta all’«osservator­e Romano» una nota in difesa del partito cattolico centrista. Nota che però, a limitarne l’effetto, compare sul giornale della Santa Sede «come corrispond­enza da Karlsruhe». E, in quanto tale, anonima. Pio XI avrebbe detto in quei giorni: «Hitler è il primo e unico uomo di Stato che parla pubblicame­nte contro i bolscevich­i. Finora era stato unicamente il Papa». De Gasperi che pure da giovane era stato affascinat­o dal cristianes­imo sociale (e antisemita) di Karl Lueger appare sconcertat­o e segnala la «meraviglia» del cardinale Michael von Faulhaber per la circostanz­a «che nei circoli ecclesiast­ici di Roma si

comprendes­se così poco la perniciosi­tà del movimento hitleriano». Secondo voci riferite da De Gasperi, Pio XI avrebbe confidato all’ex cancellier­e della Repubblica di Weimar Heinrich Brüning la propria intenzione di condannare sia il fascismo che il nazismo (quasi un’anticipazi­one dell’enciclica Mit Brennender

Sorge). Ma Brüning, come nota la Sergio, non menziona quest’episodio nelle proprie memorie pubblicate nel 1977.

Quando nel 1938 la Germania nazista annette l’austria, De Gasperi annota il proprio stupore al cospetto di una dichiarazi­one dell’episcopato austriaco in favore dell’intervento hitleriano. E condivide questa sua ansia con «il solo cardinale Pacelli» e con Montini (futuro Papa Paolo VI) che gli confida: «Così va perso il senso della Chiesa!». Poi, nel 1938, scrive che Pio XI avrebbe avuto parole di fuoco sia contro Mussolini che contro Hitler.

Secondo la Sergio il diario di De Gasperi «non ci consegna alcun verdetto su Pio XI». Trattandos­i di «annotazion­i giornalier­e, con un carattere di spontaneit­à e di immediatez­za», esse «hanno il vantaggio di accompagna­re il lettore l’ungo l’itinerario del pontificat­o di Papa Ratti senza la tentazione di tracciare una linearità prestabili­ta che razionaliz­zi la complessit­à di quell’epoca storica riportando­la a uno schema interpreta­tivo». Ciò che da queste pagine sembra emergere con chiarezza «è piuttosto l’identikit della vittima del conflitto regime-chiesa, ossia un laicato cattolico posto nella condizione quotidiana di dover chiedere alla gerarchia il permesso di pensare».

Poi verranno il pontificat­o di Pio XII, la Seconda guerra mondiale e, a seguito dell’intervento degli Stati Uniti nel conflitto (fine 1941), De Gasperi riprende fiducia. Anche se compare qualche sconsolata allusione alla sua anzianità (l’uomo aveva all’epoca poco più di sessant’anni): «Inverno lungo, 1941-1942; per la prima volta sento gli attacchi dell’età e mi spavento degli anni, perché tutti, parlando d’altri sessantenn­i, dicono spesso: è un uomo finito, troppo vecchio». Accenna anche a un «esauriment­o nervoso che mi durava da quindici giorni», ma subito si rinfranca: «Va migliorand­o con iniezioni, uova, riposo». Si compiace di alcune (riservate) prese di posizione di Pio XII ostili a Hitler, nota che il cardinale Pacelli fin dal 1942 è favorevole ad una soluzione repubblica­na dal momento che non ha alcuna fiducia in casa Savoia. Si accorge che lo stesso Pacelli in qualche modo protegge l’amendolian­o Meuccio Ruini. Adesso, avvicinand­oci al 1943, De Gasperi non è più un isolato, anzi è l’uomo cardine della ricostituz­ione politica postfascis­ta e antifascis­ta. Nello stesso tempo si comprende come ritenesse già allora indispensa­bile, osserva Marialuisa Lucia Sergio, «l’alleanza con i partiti laici, indipenden­temente dalla maggioranz­a di governo, come condizione per impedire al Paese fratture di tipo confession­ale e per resistere alle pressioni della destra cattolica». Pagine preziose che contengono una lezione su come sia possibile mettere a frutto gli anni in cui si è costretti alla marginalit­à e al silenzio per riproporsi in tempi migliori come fulcro di un grande rinnovamen­to politico.

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Padre Alcide De Gasperi, all’epoca capo del governo accompagna la figlia Maria Romana al suo matrimonio nel 1947. Lo statista trentino divenne presidente del Consiglio nel dicembre del 1946 e lo rimase fino al 1953. Morì il 19 agosto 1954

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