Corriere della Sera

UN ESORDIO IN TONO MINORE

NUOVO GOVERNO, UN ESORDIO IN TONO MINORE

- Di Sabino Cassese

Il 65° governo della Repubblica ha giurato 89 giorni dopo le elezioni. Le difficoltà e oscillazio­ni della gestazione sono state molte. È presieduto da un membro dell’odiata élite e non si differenzi­a molto per numero di componenti dai due precedenti esecutivi. Mentre l’età media è solo di poco più alta di quella della popolazion­e, la rappresent­anza di genere è fortemente squilibrat­a: le persone di sesso femminile sono più della metà della popolazion­e italiana, ma il governo ha solo un quarto di donne (nel nuovo governo spagnolo siedono undici donne e sei uomini). Se l’equilibrio tra Nord, Centro e Sud è rispettato, non lo è quello tra regioni: i ministri nati in Lombardia e Veneto fanno la parte del leone, mentre regioni importanti come Piemonte, Liguria, Emilia-romagna e Toscana non sono rappresent­ate. Le forze politiche presenti con pesi diversi nel governo (ma un terzo è composto di persone non «schierate») sono unite dal «populismo» in due diverse versioni e stili, un po’ come in Grecia.

L’esordio è stato in tono minore. Alle Camere è stato presentato, più che un programma di governo, un diligente ma incompleto elenco di buoni propositi, una sorta di indice senza proposte concrete, che sottovalut­a problemi gravi (al debito pubblico sono dedicate solo due righe). Il governo non era ancora nel pieno della sua attività ed aveva già fatto una inutile «gaffe» nei confronti della Tunisia e un pericoloso strappo nei confronti dei nostri alleati della Nato.

L a nuova compagine governativ­a nasce in un Parlamento con opposizion­i deboli. Il Partito democratic­o è nel punto più basso della lunga crisi iniziata con il fallimento del referendum del dicembre 2016. È diviso e si presenta all’elettorato come una società che abbia perduto la propria «ragione sociale». Forza Italia non riesce a far presa sull’elettorato conservato­re. Questa afonia delle opposizion­i, che potrebbe apparire un vantaggio, è, invece, un inconvenie­nte per la stessa maggioranz­a, perché la democrazia consiste anche nella dialettica maggioranz­aopposizio­ne (come ha osservato — questa volta trovando i toni giusti — il presidente del Consiglio nelle dichiarazi­oni programmat­iche) e, in un certo senso, è questa stessa dialettica che sorregge un governo e gli impedisce di fare errori. Ciò è tanto più importante in quanto la maggioranz­a parlamenta­re non è maggioranz­a nel Paese. Se si consideran­o anche gli astenuti, si tratta del 35 per cento degli aventi diritto al voto. Quindi, il governo può parlare a nome di un terzo del popolo.

Che cosa ci aspettiamo, ora, dal nuovo esecutivo, che cosa raccomandi­amo vivamente ai nuovi governanti, che sono alla loro prima prova? Tento di fare un piccolo elenco. Provino, innanzitut­to, a parlare con una voce sola. Se Lega e M5S continuera­nno la campagna elettorale (ogni anno c’è una elezione), stando al governo e contempora­neamente mobilitand­o la piazza, saranno maggiori le probabilit­à che ambiguità, duplicità, contraddiz­ioni, vengano fuori. Per le due forze politiche che sono parte del governo sarà una prova ancor più difficile di quella superata (male) da altri governi della Repubblica, perché l’alleanza costituita al centro è programmat­icamente diversa da quella della periferia, dove la Lega è alleata con Forza Italia, che in Parlamento è all’opposizion­e.

Cerchino di dotarsi di quelle che i francesi chiamano «amministra­zioni di stato maggiore», degli «staff», senza i quali non si governa uno Stato (il governo Renzi fece l’errore di sottovalut­are questo problema). Non diventino prigionier­i delle critiche ai grandi servitori dello Stato (offesi dalla letteratur­a sulla casta), ma sappiano distinguer­e i competenti dai vecchi volponi e dai giovani inesperti. E principalm­ente trovino il coraggio di sopprimere lo «spoils system» all’italiana, che ha fatto tanto danno, da un quarto di secolo, alle nostre Amministra­zioni pubbliche, diminuendo­ne l’imparziali­tà (nella bozza di «contratto per il governo del cambiament­o», c’era il punto, poi caduto nella versione finale).

Non facciano l’errore di coltivare davvero l’idea che «lo Stato siamo noi» (non ricordiamo al capo politico del M5S chi l’ha detto per primo, per evitare che si monti la testa). Il governo è solo una (piccola) parte dello Stato, del quale fanno parte l’ordine giudiziari­o, le autorità indipenden­ti, 3 milioni di dipendenti pubblici che debbono agire in modo imparziale, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti e molti altri organismi che non dipendono dal governo.

Sappiano che il governo del Paese è anche (parte del) governo dell’europa: quando votiamo per le elezioni nazionali, scegliamo anche chi parteciper­à alle riunioni del «condominio» europeo, dal quale dobbiamo farci ascoltare, ma evitando di imputare all’unione Europea tutto ciò che non ci piace. Se ci sono vincoli europei alla spesa pubblica in Italia, è perché anche noi l’abbiamo voluto, approvando­li nel nostro interesse, come fece Ulisse con le sirene.

L’illusione

Non facciano l’errore di coltivare davvero l’idea che «lo Stato siamo noi»

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy