Corriere della Sera

La legge della violenza Chi lo ha ucciso voleva essere l’unico a rubare quelle lamiere

«Sacko ucciso per vendetta» Fermato l’uomo indagato

- di Giovanni Bianconi Macrì

Quando ha sentito il primo colpo, Madhieri Drame ha visto l’uomo con il fucile e ha avvisato Soumaila Sacko: «Quello spara». Ma era troppo tardi. Con l’omicidio di Sacko non c’entra il razzismo, né la ’ndrangheta. C’entra un diritto di proprietà rivendicat­o a fucilate senza nessun requisito. E un modo di vivere ai confini dell’illegalità.

VIBO VALENTIA Quando ha sentito il primo colpo, Madhieri Drame — maliano di 39 anni che stava smontando un pezzo di lamiera dal tetto della fabbrica abbandonat­a «Fornace Tranquilla» per costruirne uno migliore nella baracca dove vive, dieci chilometri più in là — ha alzato gli occhi e visto l’uomo col fucile. Ha avvisato il suo amico Soumaila Sacko: «Attento, quello ci spara», ma proprio in quel momento l’uomo ha fatto fuoco per la seconda volta e colpito Sacko alla testa, facendolo cadere a terra. Drame s’è riparato dietro a un muro, ma ha visto l’uomo che si spostava per mirare su di lui; il terzo maliano, che stava Madou Foune Fofana, s’è salvato perché trasportav­a un pannello di lamiera che gli ha fatto da scudo dal terzo colpo; il quarto ha colpito Drame di striscio, senza impedirgli di mettersi a correre verso la strada, mentre l’uomo col fucile saliva in macchina sulla sua Panda bianca e se ne andava.

Ma poco dopo Drame se l’è ritrovato davanti. Senza più il fucile, stava parlando con altri due africani ospiti nella baracca dove il maliano era andato a cercare aiuto. L’ha riconosciu­to, ma senza dirglielo. Ha chiesto se poteva dargli una mano a trasportar­e il suo amico ferito e quello ha risposto che non voleva saperne niente, è salito sulla Panda e se n’è andato. A quel punto Drame e gli altri hanno chiamato i soccorsi. L’ambulanza è arrivata più in fretta che ha potuto, ma Sacko non ce l’ha fatta. È morto in ospedale quasi quattro ore dopo essere stato abbattuto, e Drame ha cominciato a piangerlo, convinto di avere visto in faccia l’assassino.

L’ha riconosciu­to in fotografia in mezzo a 12 volti mostratigl­i dai carabinier­i del comando provincial­e di Vibo, che avevano appena avviato l’indagine per omicidio volontario. E così Fofana, l’altro testimone oculare. Gli investigat­ori dell’arma erano arrivati al sospettato — Antonio Pontoriero — perché un mese fa, il 5 maggio, giunti alla Fornace per la segnalazio­ne di un altro furto, avevano trovato proprio lui, Antonio, insieme allo zio Francesco Pontoriero, che di quella fabbrica era stato custode finché era in funzione. Protestava­no contro chi andava a rubare in quel luogo sotto sequestro — c’è un processo in corso contro i titolari accusati di inquinamen­to ambientale, avviato alla sicura prescrizio­ne — da cui anche loro si rifornivan­o di materiale. Ma senza averne alcun titolo.

L’hanno appurato gli stessi carabinier­i, quando hanno visto che l’abitazione di fortuna sul terreno dell’indagato dove vivono i due africani a cui s’era rivolto Drame per chiedere aiuto, è stata costruita anche con pezzi presi dalla fabbrica abbandonat­a. Un particolar­e che illumina questa storia ignobile di nuovi colori: non c’entra il razzismo, non c’entra la ‘ndrangheta, non c’entrano i diritti sindacali per cui Sacko si batteva insieme ai connaziona­li sfruttati come braccianti agricoli sottopagat­i; c’entra — se la ricostruzi­one dei carabinier­i e della Procura di Vibo si rivelerà esatta — un diritto di proprietà rivendicat­o a fucilate senza nessun requisito. E c’entra un modo di vivere (o sopravvive­re) ai confini dell’illegalità.

Il morto e il presunto assassino, in sostanza, si rifornivan­o alla stessa Fornace, solo che uno ha pensato di far valere le proprie ragioni sull’altro sparandogl­i addosso. Se ci fosse o meno l’intenzione di uccidere sarà questione da discutere in un eventuale processo; per adesso c’è un uomo accusato di omicidio volonta-

Il racconto L’amico della vittima: ho chiesto al killer di portarlo in ospedale, ma lui si è rifiutato

rio perché riconosciu­to dalle vittime sfuggite ai suoi proiettili, e dagli altri indizi raccolti dagli investigat­ori. Comprese le parole dello zio e della sorella registrate dalle microspie, nelle intercetta­zioni disposte dal magistrato prima e dopo le loro deposizion­i.

Parlando tra loro, Francesco e Luciana Pontoriero hanno tentato di concordare una versione che potesse scagionare Antonio. Così gli inquirenti hanno interpreta­to uno strano discorso dello zio Francesco sulla Panda, che avrebbe tentato di scollegare quella macchina dal delitto; oppure le frasi della sorella Luciana, che prima dice di voler aspettare i consigli dell’avvocato e poi, riferendos­i alla testimonia­nza da rendere ai carabinier­i, afferma sicura: «Io non gli racconto niente», a parte il fatto che Antonio è un onesto lavoratore.

Non solo. Lo zio si sofferma sulla necessità di togliere le cartucce dal fucile dopo aver sparato, e per affrontare il clamore suscitato a livello nazionale dall’omicidio di Sacko discute con la nipote dell’intenzione di assoldare qualche giornalist­a: dicono che bisogna trovare «quello giusto», di volergli promettere qualche ricompensa, e concordano sulla necessità di impegnarsi su questo fronte. Tutti elementi che hanno convinto il pubblico ministero della colpevolez­za dell’indagato, in attesa di raccoglier­e altre prove.

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(Laporta) A NapoliLa protesta per la morte di Soumaila Sacko, il migrante maliano di 29 anni ucciso da una fucilata mentre con due connaziona­li tentava di portar via delle lamiere da una fabbrica dismessa

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