Senza tracotanza saremmo perduti La voglia di osare ci rende umani
Le riflessioni controcorrente di Carlo Bordoni nel suo «Il paradosso di Icaro» (il Saggiatore)
Ese in quest’epoca liquida e incerta a salvarci fosse la hybris? Se a soccorrerci fosse la «tracotanza» che abbiamo visto punire nelle tragedie greche e che invece è il motore della storia, la più creativa delle risorse umane, l’unica spinta che ci può restituire speranza e capacità di ribellarci ai guasti del presente? Insomma: l’unica possibile fonte di futuro.
È il filo che Carlo Bordoni lancia nel nostro labirinto quotidiano con Il paradosso di Icaro. Ovvero la necessità della disobbedienza (il Saggiatore), il saggio con cui il sociologo prosegue l’analisi della crisi della modernità avviata nel solco di Zygmunt Bauman. Delle cinque figure mitiche tratte dalla cultura greca su cui struttura il libro, la hybris è senz’altro la più avvincente, per come Bordoni riesce a svelarne il lato benefico e «progressista», la sua necessità ciclica nel sovvertire l’ordine quando l’ordine si fa oppressione.
«La storia dell’uomo è la storia di una hybris sconfinata», dalla lotta dei primitivi per la sopravvivenza alle ambizioni sempre più smisurate dei loro discendenti: non ci sarebbe conquista, invenzione o scoperta senza quella disposizione a osare, infrangere, superare. Non è la hybris l’origine dell’ingiustizia ma il suo figlio degenere, il kòros, l’«eccesso», la «sazietà insaziabile» che schiaccia gli «inferiori» e porta sfruttamento, dominio e disuguaglianza.
Ecco, è l’uguaglianza il filo conduttore di Bordoni. Se nell’età greca classica la hybris era uno strumento di controllo sociale — punita dagli dèi se commessa tra aristocratici, ma consentita nei confronti delle classi subalterne — nell’età moderna diventa la via dell’ascesa borghese. È il trionfo della modernità, con la nascita dello Stato, la più solida istituzione mai sperimentata. La hybris del borghese è ribellione al limite in ogni campo. La sua ar- roganza cerca l’eccellenza e sovverte l’ordine. Ma l’ordine borghese rivela a sua volta il suo aspetto sopraffattore e la hybris rivoluzionaria lo minaccia fino a costringerlo a una promessa di uguaglianza. Che però è affetta da un’«insanabile ambiguità»: formalmente indiscutibile, non si afferma nella realtà effettuale.
Il filo di Bordoni ci porta così ai giorni nostri, alla società resa liquida dall’incertezza, dall’indebolimento delle istituzioni: lo Stato su tutte. La crisi del 2008, spiega il sociologo, ha ingannato tutti, a cominciare da chi a sinistra vi ha visto l’ennesimo preteso suicidio del capitalismo e non la sua astuzia storica, la sua capacità di reinventarsi falciando costi e risorse senza più investire. Al kòros delle élite non risponde però una hybris feconda: rischiano di trionfare le retrotopie (ennesima intuizione baumaniana), le utopie passatiste spacciate come il biglietto di ritorno a improbabili età dell’oro (o della lira).
Ci troviamo così in un «interregno» refrattario al futuro o in cui, per dirla meravigliosamente con Paul Valéry, «il futuro non è più quello di una volta». Non è più legato all’idea di progresso, di un domani migliore. È annullato dalla frenesia, dalla «resa della speranza», dall’incapacità di aspettare, dunque di lottare. Ma la speranza resta sempre lì, in fondo al vaso di Pandora. E l’esempio resta Prometeo, vero protagonista di questo libro, benefattore dell’umanità col suo atto di hybris e ribelle di successo che non vede la sua sfida squagliarsi al sole (anche per questo, forse, il titolo l’avrebbe meritato lui).
Il paradosso di Icaro è un’appassionante storia del pensiero e dell’agire umani che, nell’affrontare la crisi della modernità, ci parla delle nostre vite. Ci spiega perché ogni giornata che affrontiamo è una lotta tra limiti e possibilità, con noi al centro del campo di battaglia e capaci di tutto. Crederlo è già hybris. Ma una hybris necessaria, che ci strappa a ogni forma di rassegnazione.