Corriere della Sera

A 90 anni sogno di riunire gli italici sparsi nel mondo

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Ascolto i discorsi di Luigi Di Maio e Matteo Salvini e capisco che la loro demagogia è suscettibi­le di riscuotere molto successo, perché portatrice di qualche verità. Il mondo ha bisogno di modificare l’assetto di potere. L’establishm­ent s’illude se crede di tirare avanti così. Questa è la crisi dello Stato nazione nato dalla pace di Westfalia».

La sua ricetta per salvare il Pd?

«Reinventar­si. Il Pd attuale non ha né orecchie né bocca. Non sa ascoltare il Paese e non spiega i suoi propositi».

Matteo Renzi deve restare in campo?

«No, deve farsi da parte».

Chi vedrebbe bene come segretario?

«Purtroppo nessuno, per ora».

Ma il nuovo governo durerà?

«Previsione davvero difficile».

E se dovesse cadere che accadrebbe?

«Ne vedremmo delle brutte. Le prossime elezioni segneranno una svolta storica, come quelle del 18 aprile 1948. Spero che agli italiani entri in testa una cosa: la loro posizione sulla Ue non è sbagliata, bensì impossibil­e. È vero, l’europa è superata, e infatti con la Brexit gli inglesi hanno compiuto una scelta lungimiran­te. Però nei rapporti di forza del mondo va tenuto presente il principio di realtà. Non è che votando ci mettiamo la Germania nel taschino. Se non riusciamo a sceverare le reazioni emotive da quelle razionali, l’orizzonte che ci attende è la Grecia. A Salvini, che punta al plebiscito, vorrei ricordare che spesso gli errori politici dell’italia si vedono sulla distanza».

Che intende dire?

«Penso al Risorgimen­to, che anticipò il fascismo. La Rivoluzion­e francese era nella linea del tempo. Ma quella italiana contro l’unione europea è una rivolta di Spartaco, senza prospettiv­e».

Il Sole delle Alpi leghista ricorda il logo della Regione Lombardia ispirato alla rosa camuna, che lei fece disegnare a Bob Noorda. Le dispiace?

«Coinvolsi anche Bruno Munari, Roberto Sambonet e Pino Tovaglia nello studio del simbolo. No, non mi dispiace. Ero molto amico del professor Gianfranco Miglio. Il mio regionalis­mo aveva ascendenze simili a quello del primo Carroccio. Non a caso mi definirono protoleghi­sta».

Si narra che sua moglie Carla, figlia della «signora della finanza» Anna Bonomi Bolchini, le rimproveri di non essere riuscito a diventare almeno ministro.

«Guardi, se c’è una donna che non ha simili malinconie, quella è Carla».

Giancarlo Galli, il giornalist­a morto di recente che fu suo stretto collaborat­ore, di lei disse: «Bassetti è un fanatico della programmaz­ione, per Milano fece molto, ma quando tentò di sbarcare a Roma fallì». Un giudizio impietoso.

«Perché impietoso? Io parlerei di insuccesso. Roma è una palude. A me la Capitale piace moltissimo, ma l’unica cosa buona che ci trovo è il Papa. Se lei analizza il voto del 4 marzo, vede a occhio nudo che lo Stato non è riuscito a unificare il Paese. Il povero Mattarella sta pagando il prezzo del comportars­i rettamente in una struttura che scricchiol­a. Milano deve stare attenta a non diventare un surrogato di Roma, altrimenti finirà male».

La consideran­o il nume tutelare dei sindaci Giuliano Pisapia e Giuseppe Sala. Soddisfatt­o di entrambi?

«Di Pisapia senz’altro, perché la sua rottura ha dato frutto. Di Sala dovremo vedere se la sua ricostruzi­one funzionerà».

Si vocifera che quando lei s’insediò in Regione il discorso glielo scrisse in parte

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