Le competenze del lavoro futuro L’alleanza
Iacovone (Ey): 2,5 milioni di nuovi posti entro il 2022 Ma resta difficile soddisfare la richiesta di professionisti di alto profilo
● L’alleanza per il Futuro del Lavoro è una piattaforma nata a gennaio 2018 su iniziativa di Ernst&young Italia e mette in rete oggi circa 50 soggetti tra imprese, atenei, business school con l’obiettivo di creare 100 mila nuovi posti di lavoro
● Dalla ricerca attivata nel primo cantiere dell’alleanza emerge la previsione di 2,5 milioni di posti di lavoro nei prossimi cinque anni
● Entro il 2025 il 75% della forza lavoro sarà costituita da millennials, il 35% delle competenze richieste oggi saranno sostituite nei prossimi 5 anni e il 33% delle professioni saranno sostituite da «smart machines»
«Nei prossimi cinque anni, il mercato italiano del lavoro metterà a disposizione almeno 2,5 milioni di posti. La stima è conservativa, ma la sfida resterà quella di chiudere la forbice tra domanda e offerta di nuove competenze e professioni». Il cosiddetto mismatch si conferma il nodo della trasformazione digitale «e sulla sua dinamica bisogna intervenire subito», dice Donato Iacovone, amministratore delegato in Italia di Ernst & Young, la multinazionale della consulenza che, con alcune tra le più importanti università italiane, ha aperto il primo cantiere di analisi e ricerca dell’alleanza per il Futuro del Lavoro.
Questa piattaforma nata pochi mesi fa mette in rete 50 soggetti tra imprese, atenei e business school e punta alla creazione di 100 mila posti di lavoro. È stata presentata al Festival dell’economia di Trento dove a lungo si è discusso di «disruption» tecnologica, polarizzazione dell’occupazione, curva demografica. Fenomeni destinati a produrre impatti straordinari sul sistema economico e non a caso si parla di quarta rivoluzione industriale. «Entro il 2025 — spiega Iacovone — il 75% della forza lavoro sarà costituita da millennials, mentre da qui al 2022, il 35% delle competenze richieste sarà sostituito e il 33% delle professioni sarà svolto da “smart machines”». Ma il fabbisogno di (almeno) 2,5 milioni di posti di lavoro non è una buona notizia? «Non sono poi così tanti — replica il numero uno di E&Y — e soprattutto non sono tutti posti nuovi: in quattro casi su cinque, il 78% per la precisione, si tratterà di sostituire chi andrà in pensione, generando una domanda di oltre due milioni di lavoratori». Sempre considerato un orizzonte temporale di cinque anni, circa l’84% del fabbisogno, vale a dire poco più di 2,1 milioni di posti, si concentrerà nei servizi. Parliamo di cura della persona, insegnamento, commercio e servizi alle imprese. Diplomati e laureati se la giocano quasi alla pari: 809 mila posizioni andranno ai primi nei settori del turismo, della finanza e negli ambiti tecnici. Quasi 780 mila sono i posti che andranno ai laureati, con in testa sanità, economia, ingegneria (sono stimati in media 155.600 ingressi all’anno). Ai lavoratori con qualifiche regionali o la semplice scuola dell’obbligo andranno 988.500 posti.
«Tuttavia, nonostante la disoccupazione sia ancora a livelli molto più alti rispetto al 2008, il tasso di posti vacanti è salito fino al livello del 2008. Questo — argomenta Iacovone — è un indice del “mismatch” tra domanda e offerta oltre che dell’inefficienza del mercato. Il tasso di posti vacanti aumenta su aree professionali, scientifiche e tecniche, e su informazione e comunicazione». Il 71% dei lavori richiesti nei prossimi cinque anni riguarderà profili medio-alti e 35% delle aziende sperimenta già le difficoltà di reclutamento.
Ad aggravare il quadro c’è il fatto che il fabbisogno di laureati previsto nei prossimi (2016-2030) COMPETENZE fisiche e manuali
38% cinque anni è significativamente più elevato del numero di laureati che riuscirà a produrre il nostro sistema (circa 21 mila in meno della domanda media all’anno). Il «mismatch» è anche a parti invertite: una quota rilevante degli occupati, oggi, è sovra-qualificato per la mansione svolta, come conferma un recente studio dell’ocse che indica l’italia ai primi posti tra i paesi con questa problematica.
Il rischio di automazione riguarda una quota importante dei posti di lavoro in Italia (il 14% di quelli attuali e il 12% del fabbisogno futuro 2018-2022) e colpirà le professioni in modo differenziato. Il rischio è elevato per gli impiegati addetti alle funzioni di segreteria e ufficio, agli artigiani, operai metalmeccanici specializzati e installatori di attrezzature oltre che agli operai semiqualificati per lavorazioni in serie e montaggio. «Questo non significa che perderemo occupazione sul lungo periodo. Dovremo essere più rapidi ed efficaci nella formazione» osserva Iacovone, ricordando che «secondo alcune ricerche il 65% dei bambini che frequentano la scuola primaria faranno un lavoro che oggi non esiste».
Le professioni tra le più richieste entro il 2022 saranno i ciber security experts, i data scientists e i cloud computing experts. E i dati sul «gap» sono cognitive di base
17% cognitive di alto livello
19% sociali e relazionali
15%
impressionanti: c’erano 27 mila posti vacanti l’anno scorso per carenza di competenze prevalentemente tecnologiche, mentre erano 30 mila quelli che sono andati a lavorare fuori con le stesse tipologie di profilo professionale. L’italia — la realtà è nota da tempo — è un forte esportatore di «cervelli» e alte professionalità, mentre importa lavoratori a profilo basso o molto basso e, se si escludono alcune tecnologiche
Il pensiero critico
La capacità di stabilire collegamenti e porsi domande sarà tra le più richieste
Manager Donato Iacovone, 58 anni, è amministratore delegato di Ernst & Young Italia grandi aziende e pochissime università, non riesce ad essere attrattiva per le fasce alte. Quanto agli operai, è emblematico il caso del tessile, settore ancora in profonda ristrutturazione, che soffre della difficoltà di reperimento di esperti stampatori di tessuti, sarti, tagliatori artigianali.
Le nuove super competenze high-tech, tuttavia, potrebbero non bastare e anzi non basteranno per affrontare la nuova complessità. È vero che le «skill» tecnologiche vedranno, da qui al 2030, il 61% dell’aumento delle ore lavorate. Ma saranno l’empatia, la disponibilità alla relazione umana, e le abilità cognitive di alto livello a fare la differenza. Producendo nel loro insieme un 40% in più di ore di lavoro (altamente qualificato) in Italia. La sorpresa assai positiva è che il «pensiero critico», cioè la capacità di pensare il pensiero, creare collegamenti e saper porsi domande corrette sarà (finalmente) una delle qualità più richieste. «Ci sentivamo forse avviati a un mondo digitale che appiattisce tutto — chiude Iacovone — Non è cosi. Non voglio fare il “tecno-ottimista” ad ogni costo. Ma tra tante difficoltà da superare ci si presentano anche opportunità straordinarie». paolapica