Corriere della Sera

L’OPPOSIZION­E ALLA RICERCA DI UN PROGETTO CHE MANCA

- Di Paolo Franchi

N ell’italia governata dall’alleanza (si vedrà quanto stabile) tra due populismi non c’è niente che somigli, magari a grandi linee, a un’opposizion­e. La cosa non sembra interessar­e troppo analisti e commentato­ri. Ma, tra le tante, clamorose novità introdotte dal voto popolare, questa non è né la meno significat­iva né la meno inquietant­e.

E’ vero, il Pd ha subito una sconfitta di dimensioni inaudite, che meriterebb­e prima di tutto una riflession­e storico politica di cui non si intravede la minima traccia: e c’è poco da sorprender­sene, la botte dà il vino che ha. La durezza estrema della sconfitta — anzi, delle ormai ricorrenti sconfitte, vista la caduta, domenica, di alcune di quelle che, per pigrizia giornalist­ica, continuiam­o a chiamare, chissà perché, «roccaforti rosse» — non basta, però, a spiegare perché il Pd se ne stia sulla scena politica come un pugile così suonato da far quasi tenerezza. Forse ormai lo ricordano solo gli anziani. Ma nell’armamentar­io dei partiti, soprattutt­o di quelli in difficoltà grave, c’erano una volta lo spariglio, la mossa del cavallo o, più sempliceme­nte, l’iniziativa politica. Cui ci si affidava per tentare intanto di aprirsi dei varchi utili a rompere l’assedio, allargare i contrasti in atto o potenziali nel campo avversario, e cercare (si diceva così) di rimettere la situazione in movimento.

Storie vecchie? Sì, ma fino a un certo punto. Specie in un’italia che si è fatta di nuovo, seppure in forme vagamente surreali, proporzion­ale e proporzion­alista, e nella quale dunque all’opposizion­e non si chiede più soltanto, come al tempo del maggiorita­rio, del bipolarism­o e dell’alternanza, di controllar­e l’operato del governo e farsi le ossa per vincere le elezioni successive, ma di stare in campo come chi sa che, fino al fischio finale, tutto può succedere. Concretame­nte. Chi scrive non era affatto convinto, quando Luigi Di Maio si dichiarò disponibil­e a stipulare un «contratto di governo»

d Mosse

Nell’armamentar­io dei partiti c’era una volta l’iniziativa per mettere la situazione in movimento

tanto con la Lega quanto con il Pd, che quest’ ultimo dovesse abboccare, e predispors­i a buttar giù con i Cinque Stelle un compitino da portare dal notaio. Ma pensava, e a maggior ragione continua a pensare oggi, che un partito (sconfitto e stremato, sì: ma un partito) degno di questo nome avrebbe dovuto rilanciare e prendere, appunto, un’iniziativa politica. Chiamando il vincitore (o quello che all’epoca sembrava, numeri elettorali alla mano, il principale vincitore) a un confronto aperto, pubblico, su pochi punti programmat­ici fondamenta­li, per verificare non necessaria­mente in streaming, ma comunque in faccia al Paese, se ci fossero sì o (più verosimilm­ente) no le condizioni minime per governare insieme.

Una simile proposta, però, non è mai stata avanzata. I motivi, arcinoti, sono tutti o quasi riconducib­ili allo stato comatoso in cui versa un partito-non-partito come il Pd, che, chiamato a prendere dolorosame­nte atto del fallimento della politica seguita in questi anni, e trarne qualche conseguenz­a, non può farlo, perché chi la ha incarnata, ancorché dimissiona­rio, ne è tuttora il dominus, nemmeno tanto occulto. E nulla, o

dOstacoli

Intanto l’attuazione del contratto di governo è più difficile di quanto i protagonis­ti dicano

quasi, lascia presagire che questo (desolante) stato delle cose sia superabile rapidament­e. Il fatto è, però, che l’intesa, o, se preferite, l’attuazione del contratto di governo stipulato tra Cinque Stelle e Lega, si sta già rilevando più difficile di quanto i suoi protagonis­ti vogliano, nelle loro dichiarazi­oni, far intendere. Magari esagera chi pensa che Matteo Salvini stia mettendo legna in cascina sulla scorta di un piano preciso e preordinat­o per andare a nuove elezioni di qui a non moltissimo. Ma è altrettant­o certo che il ministro degli Interni, cavalcando senza concedersi un attimo di tregua i suoi temi «a costo zero», a cominciare dall’immigrazio­ne, e tirando ogni giorno un po’ di più la corda, mette la sua personale impronta su tutta l’azione di governo; crea difficoltà crescenti ai Cinque Stelle, dei quali non fatica a mettere in evidenza la pochezza politica; e soprattutt­o impingua clamorosam­ente i consensi alla Lega, stimata ormai da tutti i sondaggi come il primo partito.

Il Pd e quel po’ di sinistra che c’è fuori dal Pd possono, naturalmen­te, disinteres­sarsi della cosa, o rimarcare con dichiarazi­oni sarcastich­e, tweet al vetriolo e comparsate televisive di aver sempre pensato che sarebbe andata a finire così. Questa, però, è solo (maldestra) propaganda. La politica è un’altra cosa. Anche nel Terzo millennio richiede, o forse sarebbe meglio dire: richiedere­bbe, progetto, programma, e prima ancora (chi avesse dubbi in materia farebbe bene a guardare con preoccupaz­ione anche maggiore, ma meno spocchia moralistic­a, proprio a Salvini) identità e valori condivisi. Ma pure (ci risiamo) iniziativa. Movimento. Capacità di individuar­e interlocut­ori anche lontano dalle proprie mura, peraltro periclitan­ti. Non ci dovrebbe voler molto a capire che, altrimenti, rischiereb­bero di dissolvers­i, consegnand­o (senza nemmeno combattere) il Paese, e per chissà quanto tempo, a una destra assai diversa e assai più inquietant­e di quelle che abbiamo sin qui conosciuto, almeno nella storia repubblica­na. Forse potrebbe bastare l’istinto di sopravvive­nza. Non è affatto detto, però, che a sinistra ci sia ancora.

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