IL CREPUSCOLO DELLA STORIA
L’appuntamento Torna Ravello Festival e rende omaggio al soggiorno del grande compositore sulla Costiera Amalfitana. Dove trovò il giardino di Klingsor (e un senso trionfale della fine) NATURA DIVINA E SPIRITO PAGANO L’ULTIMA UTOPIA DI WAGNER È QUI
Il mare era sotto. Una terrazza a picco sulle onde riflessa in una Sinfonia celeste. Un quadro, la potenza ineluttabile della natura. Un palcoscenico pronto per la rappresentazione. Con i suoi occhi d’aquila rapace, Richard Wagner, dal fisico minuto, robusto, il volto corroso dai segni dell’antica rosolia, si godette l’incanto del panorama, circondato dai resti di architetture arabo-normanne. Era una splendida mattina del maggio 1880 quando il compositore giunse a Ravello, con la corte che lo accompagnava ovunque. Quella volta c’era anche Paulo Loukowsky, che doveva essere lo scenografo del Parsifal. Il condottiero musicale aveva 67 anni ed era stanco delle tante battaglie per la Tetralogia, come ricorda in una sapida cronaca di mezzo secolo fa Antonino Procida.
Il 30 giugno, in apertura del Festival di Ravello, il celebre direttore Esa-pekka Salonen dirigerà la Philharmonia Orchestra di Londra in frammenti da La Valchiria e da Il Crepuscolo degli dei, oltre che nel Preludio e Morte di Isotta in versione strumentale. Era Parsifal, ora a dominare la sua mente. Il maestro in Italia voleva portare a compimento il suo «testamento spirituale», la sua luce finale che si nutre di paganesimo e redenzione, la sua ultima estrema utopia. Aveva bisogno di quiete, la trovò nell’armonia della cittadina arrampicata sulla Costiera amalfitana.
Quattro anni prima aveva visitato Napoli, e poi Pompei, Capri e Sorrento, che gli era stata decantata da Ludwig, il re di Baviera, suo primo ammiratore e mecenate. Fu a Sor- rento che Wagner arrivò a confliggere con Nietzsche, che dopo avere esaltato tante volte il rivoluzionario magistero artistico di quell’uomo irritante e irritabile, non credette alla conversione in senso religioso che traspariva dalla lettura del testo poetico del Parsifal. A Napoli tornò nell’80, sgravato dalle spese di soggiorno che furono sostenute da re Luigi; la città lo ammaliò «con la sua vivacità».
Partecipava ai riti e alle feste di popolo, seguiva l’ormeggio delle barche di pescatori, e le donne vestite di nero. Fu accompagnato al San Carlo. Ma decise presto di visitare Amalfi e Ravello. Si inerpicò, superando le giravolte dell’unica strada ripida e serpentina tagliata nella roccia. La raggiunse a dorso di asino, questo dice la leggenda, altri dicono che salì su una carrozza trascinata da un cavallo. Volle subito vedere Villa Rufolo. Il cortile moresco rimanda a una civiltà millenaria che colpì l’illustre visitatore. Il Maestro indossava il soprabito marrone di sempre, e il largo cappello di feltro. Inoltrandosi nella natura lussureggiante, ordinò al pittore Loukowsky di prendere schizzi per creare i giardini di Klingsor. Wagner, al contrario di un luogo comune, nelle sue brevi ore a Ravello, prima che il suo medico gli suggerisse di lasciare la Campania per Siena, ove potesse controllare meglio la ripresa della rosola facciale («meno Africa e più Italia», fu la «sciabolata» lapidaria di Wagner) non ebbe l’ispirazione per la scena delle fanciulle in fiore, ma ebbe la visione della scenografia.
Dovette passare quasi un secolo perché Ravello venisse scoperta da Jacqueline Kennedy (in suo onore nel 1962 fu eseguita la marcia «kennedyana»); o ancora, decenni prima, da Greta Garbo e Leopold Stokowsky in fuga d’amore clandestina a Villa Cimbrone, dove nessuno li riconobbe; o Leonard Bernstein, che raggiungeva Ravello durante i suoi frequenti soggiorni nella villa a Positano di Franco Zeffirelli, quando suonava in canottiera al pianoforte, la testa leonina, la voce arrochita, la sigaretta penzolante e il bicchiere di whiskey a portata di mano, improvvisando canzoni tagliate sugli altri ospiti; o Gore Vidal, che abitava nella sua villa La Rondinaia, da cui si domina la costiera da Amalfi al promontorio che nasconde Salerno, luogo di antiche scorrerie dei turchi. Il fascino esotico e l’alone romantico dovette viverli anche Wagner. Piante d’ogni tipo e forma, fiori rigogliosi, tronchi rivestiti d’edera. Fu sull’ultima pagina della locanda dove dimorò che scrisse: «Finalmente il giardino di Klingsor è trovato!». Ravello rimase, nella sua vita, un’idea, un istante indimenticabile che brilla al di là della sua immediata realtà.
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Il maestro in Italia voleva portare a termine il suo faticoso testamento spirituale, la luce finale
Tra paganesimo e redenzione la sua utopia più estrema aveva bisogno di una quiete