Corriere della Sera

LO STATO SENZA STATO

- di Marco Demarco

Immaginare uno Stato senza Stato non è poi così difficile. Basta guardare in direzione di Bari. Qui, per effetto di una fatale dissolvenz­a, lo Stato ha perso un suo simbolo, il Tribunale, e una sua primaria funzione: la giurisdizi­one. Nel giro di qualche mese, mentre nel Paese si cercavano gli equilibri possibili per un nuovo governo, e secondo alcuni si saltava da una Repubblica all’altra, due perizie tecniche hanno dichiarato il Tribunale, inteso come sede, «inidoneo» dal punto di vista struttural­e, in altre parole candidato al crollo; il sindaco ne ha firmato l’inagibilit­à e lo sgombero entro novanta giorni; il presidente di Regione, su richiesta dei magistrati, ha reso possibile il trasferime­nto anticipato degli uffici in una tendopoli; e il neo nominato ministro, preoccupat­o per l’effettoter­remoto che l’accampamen­to giudiziari­o faceva nella nuova Repubblica, ha infine smantellat­o anche questo, decretando d’urgenza la sospension­e tout court di tutti i processi penali. Tranne quelli per terrorismo e mafia, se ne riparlerà a ottobre.

A giudicare dai fatti, tutti, dal sindaco al ministro, hanno agito per evitare il peggio. O meglio, come si dice a Bari: per togliersi dalle mazzate. Tutti si sono assunti un pezzo, ma solo un pezzo, di responsabi­lità.

E alla fine il peggio ha vinto su tutti, perché il risultato ultimo sarà quello del caos dopo le macerie.

In mancanza di una decisione drastica, quale poteva essere un decreto non per sospendere la giurisdizi­one ma per trasferire immediatam­ente gli uffici altrove, più pezzi separati e timorosi dello stesso Stato non sono riusciti a fare uno Stato intero. Quasi una metafora della vicenda italiana. La soluzione invece trovata è provvisori­a e probabile: una sede a Modugno, incapace di contenere tutti gli uffici e che tutti si augurano possa essere sostituita con un’altra più funzionale, per la quale il ministero ancora continua la ricerca.

Una giustizia ritardata è una giustizia negata, ammoniva Montesquie­u. Ma a Bari il quadro è ancora più nero: è quello di una giustizia prima evacuata, poi accampata, allagata e infangata dagli acquazzoni, quindi nuovamente sfrattata e infine dispersa con la promessa di un prossimo ritorno all’ordine. Una giustizia nel frattempo non amministra­ta, con tutto ciò che questo comporta per i diritti di tutti: di chi accusa e di chi si difende. Fa pensare, poi, che ciò avvenga nella cosiddetta era del cambiament­o

Il ministero sostiene che il numero dei processi sospesi sarebbe esiguo

e nella Regione del nuovo presidente del Consiglio: in continuità con una storia che è iniziata (male) nel 2002, quando il Tribunale di Bari fu posto sotto sequestro perché

Preoccupaz­ioni Avvocati e magistrati, sommando le varie fasi, ne contano invece circa centomila

ritenuto abusivo; è continuata (peggio) nel 2015, quando il ministero della Giustizia non pagando il fitto si è reso moroso; e ha sfiorato l’assurdo (se non la farsa) a ogni apertura dell’anno giudiziari­o, quando i magistrati ogni volta segnalavan­o crepe alle pareti e sinistri scricchiol­ii nel Palazzo del Tribunale e ogni volta a Roma nessuno raccogliev­a.

Ora il ministero parla di danni relativi: i casi di sospension­e sarebbero in numero esiguo. Ma avvocati e magistrati, sommando quelli attualment­e all’attenzione dei pm e dei giudici delle varie fasi, ne contano circa centomila. Una bella differenza! In più, se e quando sarà finalmente trovata una nuova sede (e si teme l’ipotesi «spezzatino», cioè più edifici, anche fuori Bari) bisognerà comunque ripartire con i processi, rimettendo­li nei ruoli dai quali sono stati cancellati, e riprovvede­ndo alla notifica di tutti gli atti. Il che fa dire a molti che se ogni cosa andrà per il verso giusto ci vorranno almeno dieci anni per recuperare la normalità. In un Paese più volte maglia nera in Europa per la lunghezza dei processi, e che è arrivato fino a 140 mila sentenze di prescrizio­ne in un anno, non è una bella prospettiv­a. Con o senza pena finale, il processo è già una pena. A partire da Bari, se questa è l’antifona, rischia di diventare una pena senza fine.

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