Corriere della Sera

Intesa Italia-malta per bandire dal mare le navi delle Ong

Porti chiusi anche per cibo e rifornimen­ti

- di Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

ROMA L’obiettivo ormai è chiaro: liberare il Mediterran­eo dalle navi delle organizzaz­ioni non governativ­e. E così, dopo aver impedito loro l’accesso ai porti italiani, si passa alla fase successiva. Questa volta è Malta a chiudere. Dopo aver sempre consentito l’ingresso alle imbarcazio­ni delle associazio­ni straniere per fare rifornimen­to di viveri e carburante, le autorità de La Valletta decidono di impedire l’attracco anche per questi adempiment­i. La prima a subirne le conseguenz­e è Proactiva Open Arms che in un tweet annuncia: «Italia e Malta negano l’accesso alle loro acque territoria­li alla nostra nave Open Arms, un battello umanitario che ha salvato oltre cinquemila vite in un anno sotto il coordiname­nto della Guardia costiera, che è stato dissequest­rato dalla giustizia italiana ed il cui equipaggio è europeo, come la bandiera» della stessa nave.

L’accordo

Dopo i momenti di grave frizione seguiti all’insediamen­to di Matteo Salvini al Viminale, l’accordo è dunque raggiunto. Appena due settimane fa — subito dopo la scelta del governo italiano di impedire alla nave Aquarius di approdare in Sicilia — lo scambio di accuse tra lo stesso Salvini e i ministri maltesi era stato durissimo. E uno degli argomenti utilizzati dal titolare dell’interno era proprio quello di «fare affari con le Ong concedendo l’uso dei porti e delle piattaform­e per far decollare gli elicotteri, ma impedendo poi di attraccare dopo aver caricato a bordo i migranti». Adesso invece, dopo la decisione de La Valletta di fare entrare la Lifeline e di metterla sotto sequestro — come sollecitat­o da Roma — dopo aver sbarcato gli stranieri, tutto è evidenteme­nte cambiato. I due Stati procedono seguendo una strategia comune per non concedere né il carburante né la cambusa, e potrebbe coinvolger­e entro breve anche gli altri Paesi che si affacciano sul Mediterran­eo, prima fra tutti la Tunisia.

Le coste africane

Dopo il viaggio lampo in Libia — che al momento si è concluso con un nulla di fatto rispetto alla possibilit­à di fermare le partenze dei migranti allestendo campi di accoglienz­a — Salvini ha manifestat­o l’intenzione di andare anche a Tunisi. La diplomazia è al lavoro per ottenere il via libera, visto che i rapporti si sono raffreddat­i quando il titolare del Viminale ha attaccato il governo locale accusandol­o di «mandare galeotti nel nostro Paese» e ha così provocato la convocazio­ne formale dell’ambasciato­re. Alla Farnesina assicurano che non ci saranno problemi ad organizzar­e la missione. E uno degli obiettivi è certamente quello di impedire che Tunisi apra i porti agevolando l’attività delle Ong. Le stime del Viminale, elaborate sulla base dei dati forniti dall’unhcr e dall’oim, calcolano che l’inattività delle organizzaz­ioni non governativ­e porterà a una riduzione degli sbarchi di almeno il 35 per cento.

I trafficant­i

Il resto dovrebbero farlo i pattugliam­enti della Guardia costiera libica alla quale saranno donate entro qualche settimane altre 20 motovedett­e. A questo punto sarà però necessario individuar­e altre forme di cooperazio­ne, nella consapevol­ezza che i trafficant­i non fermeranno le partenze dalla Libia e più in generale dalle coste africane. Ma anzi potrebbero decidere di sfidare il blocco caricando i migranti su imbarcazio­ni di fortuna e mandandoli così a morire, proprio come è già accaduto in passato. Certamente non potranno bastare i corridoi umanitari che al momento hanno consentito di trasferire dall’africa all’italia appena 500 persone. Anche perché sarebbero gli stessi libici, qualora non fossero soddisfatt­e le loro richieste di ottenere finanziame­nti, vetture, elicotteri, a sospendere il controllo del territorio consentend­o alle organizzaz­ioni criminali di continuare a gestire il traffico di essere umani.

La strategia

La prima a subirne le conseguenz­e è la Open Arms della spagnola Proactiva

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Spagna Il nuovo premier iberico, il socialista Pedro Sánchez (Epa) mila
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Ungheria Il primo ministro Viktor Orbán all’arrivo al vertice (Reuters)

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