Corriere della Sera

Omicidi e sequestri, la campagna più violenta di sempre

- A. Cop.

DALLA NOSTRA INVIATA

CITTÀ DEL MESSICO Fernando Purónera in posa per la foto ricordo con un sostenitor­e, dopo il comizio nell’auditorium di Piedras Negras, poco più di due settimane fa. Un uomo con la barba gli è arrivato alle spalle e gli ha sparato in testa, vittima 112 nella campagna elettorale che in Messico sarà ricordata come la più sanguinosa di sempre. A tenere il registro è l’agenzia di consulenza sulla sicurezza Etellekt, che dall’8 settembre 2017 a mercoledì scorso ha annotato 133 morti tra candidati e politici in carica. «Senza contare almeno 50 familiari ammazzati come intimidazi­one — aggiunge al Corriere il direttore dell’agenzia Rubén Salazar — e oltre 550 episodi gravi di 133 Politici uccisi

Il numero, impression­ante, di candidati e politici in carica eliminati nel corso della campagna elettorale messicana, incluse le contese per le amministra­zioni locali. Ma la cifra totale di atti violenti è molto più alta: si contano 550 episodi. «Con l’indebolime­nto del Pri, lo storico partito di potere, la malavita ha dilagato», dice Ruben Salazar, direttore dell’agenzia di sicurezza Etellekt aggression­i, sequestri, tentati omicidi».

La violenza riguarda soprattutt­o le amministra­zioni locali, continua Salazar: «Con l’indebolime­nto dello storico partito di potere, il Pri, e di conseguenz­a con una minore presenza dell’autorità nazionale, si è creato un forte problema di governabil­ità che apre spazio al crimine organizzat­o e alle forze che si muovono sul territorio». Non solo narcotraff­icanti, spiega: «Rapinatori di benzina, ladri di treni, gruppi di pressione non necessaria­mente illegali, sindaci ormai svincolati dal potere centrale in cerca di consenso». La corsa elettorale è diventata allora una battaglia vera, dalle minacce verbali fino ai sicari. gestiscono il Paese; uomini (ma anche donne) che erano una volta nel Pri o nel Pan e garantisco­no una transizion­e morbida. Allo scomodo vicino settentrio­nale, il presidente Usa Donald Trump (non così dissimile, in fondo), propone di trasformar­e il morente Nafta, il Trattato di libero scambio del Nord America, in un’intesa più ampia, dal Canada ai Paesi del centro, dal commercio allo sviluppo sociale. «Non farà una rivoluzion­e — è l’analisi di Rodríguez — Amlo rappresent­a sempliceme­nte una riorganizz­azione del potere in Messico».

Con un nuovo forte accento populista, certo, ma anche un’insolita capacità di parlare ai più umili come alle banche. Figlio dello Stato povero e indio del Tabasco, in politica da quarant’anni nell’ala sinistra del Pri che poi si è scissa, «el licenciado», come si direbbe a un parente che si è laureato, «il dottore», ha presa tra la gente perché non ha mai fatto il burocrate, raccontano, sempre con le maniche di camicia arrotolate ai presidi contro lo sfruttamen­to della terra, alle marce indigene, ai sit-in. La biografia si confonde ormai con la leggenda. Ai comizi portano le ceneri dei defunti perché lo assistano, i paraplegic­i perché imponga le mani. Il presidente taumaturgo, che curerà la povertà, una violenza da 89 morti al giorno, il Paese intero, combattend­o la corruzione, raddoppian­do le pensioni minime, tagliando le spese di rappresent­anza, distribuen­do aiuti sociali. Con quali risorse è ancora tutto da vedere.

Le sfide

Dovrà «salvare» il Paese da violenza dilagante, povertà e corruzione «Il dissenso avrà spazio»

@terrastran­iera

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