Corriere della Sera

Colloqui e ore d’aria, i timori sulla tenuta del 41 bis

L’allarme dell’amministra­zione penitenzia­ria: «Così si rischia l’alleggerim­ento del carcere duro»

- Di Giovanni Bianconi

Cos’è

● Il 41 bis è il cosiddetto carcere duro: un regime di custodia carceraria con restrizion­i e controlli speciali

● Introdotto nel 1986 per dissuadere da rivolte in carcere. L’idea di estenderlo ai mafiosi fu di Giovanni Falcone. Tale estensione avvenne di fatto nel ‘92, dopo Capaci ROMA L’ultimo campanello d’allarme è suonato nel carcere de L’aquila, dove si trova la maggior parte dei detenuti al «41 bis». Il 4 giugno scorso, in 51 (su un totale di 151) hanno chiesto udienza al magistrato di sorveglian­za, dopo che la sera prima uno di loro aveva gridato da una cella: «Questi ora vogliono aprire Pianosa e ci faranno morire, proviamo a chiedere il colloquio con il magistrato di sorveglian­za e parliamone con lui!». La voce veniva dal fondo di un corridoio ed è rimasta anonima, ma ciò che è accaduto l’indomani, quasi una class action preventiva, fa pensare ad altri contatti che le regole del «carcere duro» dovrebbero invece impedire.

I timori espressi, in quel caso, erano legati all’ipotesi circolata in quei giorni che alla guida del Dap, il Dipartimen­to dell’amministra­zione penitenzia­ria, potesse andare il pm antimafia Nino Di Matteo (al quale il ministro della Giustizia aveva effettivam­ente pensato, prima di cambiare idea e nominare un altro). Tuttavia le preoccupaz­ioni circa un possibile allentamen­to del «regime speciale» si fondano su altri episodi, e arrivano dall’interno dello stesso Dap.

Attualment­e sono 732 i reclusi sotto processo o condannati per appartenen­za a Cosa nostra, camorra, ‘ndrangheta e altre organizzaz­ioni criminali sottoposti al «carcere duro», per via della loro pericolosi­tà. L’obiettivo delle limitazion­i rispetto al regime ordinario è tagliare i canali di collegamen­to con l’esterno e tra di loro, e per questo motivo i colloqui avvengono sempre attraverso un vetro divisorio e il videocitof­ono. Ma il direttore dell’ufficio detenuti e trattament­o, Roberto Piscitello, denuncia da tempo la possibilit­à che vengano concessi colloqui diretti, riservati e senza controlli, non solo al

SOGGETTI SOTTOPOSTI AL 41 BIS 715 Uomini 10 Donne

Organizzaz­ione

Garante nazionale dei detenuti (come prevede espressame­nte la legge), ma anche a quelli regionali e comunali. Sui quali non c’è alcuna «certificat­a affidabili­tà», dice Piscitello, che aggiunge: «Quali garanzie può dare in più il rappresent­ante locale rispetto a quello nazionale? Questa estensione rappresent­a un vulnus grave al divieto di contatti con l’esterno, e può diventare rischiosa per gli stessi

Cosa nostra Camorra Ndrangheta Sacra Corona Unita Mafia pugliese Altre mafie siciliane Stidda

Mafia lucana Altre organizzaz­ioni Terrorismo 7 Uomini 0 Donne

201 193 264 garanti locali, ai quali potrebbero essere affidati messaggi o richieste indebite persino a loro insaputa».

In attesa che su questo si pronunci la Cassazione, Piscitello auspica che il Parlamento specifichi, per legge, il divieto per quei colloqui riservati. E denuncia l’ulteriore problema delle due ore giornalier­e previste per il passeggio all’aperto, che alcuni giudici di sorveglian­za aggiungono alle altre due di «socialità» al chiuso (da svolgersi fra quattro detenuti al massimo). «La legge stabilisce un limite di due ore alla possibilit­à d’incontro con altre persone — spiega il dirigente del Dap —, e finché non si cambia non si può superarlo con l’aggiunta delle ore d’aria che pure si effettuano in compagnia».

Anche su questa questione si arriverà a un verdetto della Cassazione, ma nel frattempo Piscitello propone un chiariment­o per legge che eviti la violazione surrettizi­a della norma. Evitando, per contro, interpreta­zioni restrittiv­e su altri aspetti che nulla hanno a che vedere con le finalità del «carcere duro». Come è successo di recente a Novara, dove a un «41 bis» è stata bloccata una lettera in uscita nella quale disponeva un finanziame­nto per l’associazio­ne Nessuno tocchi Caino, legata al partito radicale. Provvedime­nto confermato dal Tribunale di sorveglian­za in virtù di «una nota del Dap che ha espressame­nte esposto di intercetta­re tutte le missive contenenti materiale da inviare alla detta associazio­ne». In realtà, chiarisce Piscitello, «non esiste né può esistere una norma, e tantomeno una circolare del Dap, che impedisca ai detenuti di scrivere a chiunque o finanziare movimenti. Si è trattato di un invito della polizia penitenzia­ria a segnalare lettere che potessero destare preoccupaz­ioni per l’insorgere di proteste e disordini, ma non mi pare questo il caso. I problemi sono altri».

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