«Vicini a quota un miliardo di ricavi Nell’alimentare il made in Italy vince»
Il gruppo brianzolo ha avuto il via libera ad esportare negli States il prosciutto di Carpegna
● Viva la Mamma è invece il marchio dei piatti pronti. Il gruppo punta a diversificare sempre di più l’offerta
● Il gruppo Fratelli Beretta punta sull’integrazione verticale della catena produttiva. Attraverso il controllo degli allevamenti. Solo in questo modo è possibile garantire la qualità dell’alimentazione degli animali
Al 60esimo piano, nel cuore di downtown Manhattan, vista sulla statua della Libertà, questa volta non è New York a giocare il ruolo di protagonista. Al centro dell’attenzione c’è invece un piccolo borgo del centro Italia, dove le Marche baciano la Romagna. Parliamo di Carpegna. Patria di un prosciutto dop che fino al 2016 era destinato a pochi palati fini, visto che se ne producevano ormai soltanto 90 mila pezzi l’anno.
Nella primavera di quell’anno lo stabilimento venne rilevato dalla brianzola Fratelli Beretta. Si narra che uno degli amministratori delegati, Alberto, visitò il sito produttivo e al momento non si entusiasmò più di tanto. Poi assaggiò il prosciutto. E da lì nacque tutto. La decisione di investire. E la promessa: «Nel giro di due anni raddoppieremo la produzione e porteremo questo bendidio in America».
Impegno rispettato. Ieri la presentazione ufficiale al mercato americano del prosciutto di Carpegna dop. Che da oggi può essere venduto negli Usa. In questi due anni la Fratelli Beretta ha lavorato per ottenere tutte le autorizzazioni necessarie allo sbarco negli Usa. Con i dazi tornati di moda, operazione non semplicissima. Ma tant’è: adesso è fatta.
A New York per celebrare l’evento c’è il vertice del gruppo al gran completo. Più che un consiglio di amministrazione sembra una riunione di
Cina
In Cina siamo arrivati nel 2005. Nel 2012 abbiamo inaugurato una fabbrica a 300 km da Shanghai
famiglia. Il presidente è Vittore Beretta. Gli amministratori sono quattro. Uno è Lorenzo, figlio di Vittore. Poi ci sono Alberto, Giorgio e Mario Beretta, i tre figli di Giuseppe, il fratello di Vittore mancato ormai vent’anni fa.
D’altra parte la famiglia è abituata ai passaggi di testimone. L’azienda è nata addirittura nel 1812, a Barzanò, in provincia di Lecco. Prima del congresso di Vienna, prima dei moti carbonari. Prima dell’italia. Ormai siamo alla settima generazione. Non è stato facile. Fino agli anni 70 i salumifici dalle grandi ambizioni nel nostro Paese erano qualche
migliaio. Pochi sono riusciti a fare il salto nella produzione industriale. Un numero ancora minore ha retto alla globalizzazione. Basti ricordare le vicende di grandi marchi come Vismara (oggi del gruppo Ferrarini) e Negroni (oggi del gruppo Aia). Ma le sfide non sono finite. Anzi, adesso viene la più difficile: rispondere a un mercato che chiede prodotti sempre più sani e light.
Partiamo dal prosciutto di Carpegna. Come ci siete riusciti?
«Beh, questo non è il nostro unico prodotto dop. Nel nostro settore abbiamo il maggior numero di dop e igp: siamo a quota 19. Prosciutto di Parma e
San Daniele. Ma anche bresaola e salame».
Quanti prosciutti di Carpegna producete oggi?
«Dal 2016 abbiamo raddoppiato la produzione e siamo arrivati a quota 150», risponde Alberto Beretta.
Primi segnali dagli Usa?
«Ottimi. Abbiamo fatto arrivare qui i primi cento prosciutti. Li abbiamo già venduti tutti».
Quanto costa il prosciutto di Carpegna negli Usa?
«Beh, è un’eccellenza, prodotta in pochi pezzi. Inevitabile che il costo sia superiore La produzione