Corriere della Sera

I pescatori in barca tacciono

- di Maurizio de Giovanni

Tommaso amava l’alba. Non avrebbe saputo spiegarlo bene, faceva il pescatore e si limitava a esprimere concetti semplici e diretti. I pescatori, è noto, parlano poco e, a meno di essere come Carmeluzzo di San Giovanni, che tutti sfottevano chiamandol­o ’o Poeta, sia perché cantava sempre sia perché si divertiva a parlare difficile, dicono solo ciò che è necessario, e solo se non possono farne a meno: se parli mentre sei in barca, i pesci non si sentono considerat­i e vanno via. I pesci vogliono attenzione.

Nessuno perciò sapeva quanto a Tommaso piacesse, tra tutti, quel momento. Gli piaceva più di quando, in piena notte, si percepiva l’odore del sale e si intuiva il mare dal rumore, una distesa nera che divora e respira come un animale enorme. Più di quando sorgeva la luna nuova, o di quando era piena e faceva male agli occhi per la luce che dava, e rubava l’anima mischiando­si alle canzoni che provenivan­o dalla terraferma. Più di quando l’aria calda del giorno lasciava il posto alla brezza del Nord e la pelle si apriva per riceverne ristoro.

Più di tutto il resto, a Tommaso piaceva l’alba, l’istante in cui la luce che non c’era all’improvviso mostrava il contorno della montagna, e ancora la notte resisteva dietro a quello schermo a due punte e la colonna di fumo lontana si distinguev­a a stento. Sarebbe stato spontaneo guardare da quella parte per cogliere l’attimo preciso in cui ormai era chiaro che il giorno era arrivato, onore al sole, benvenuto mio re, è finita, o quasi, la nottata di pesca. Invece, Tommaso all’alba dava le spalle e ne osservava gli effetti, le scaglie di mare luccicanti come squame di pesce, ognuna che rifletteva il proprio raggio frantumand­osi in mille pezzetti.

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