Corriere della Sera

La Capria-perrella un dialogo mediterran­eo

Il volume edito da Laterza

- di Cristina Taglietti

«Passa il tempo e la mia età mi cade addosso. Sai, novantacin­que anni non sono pochi» confida Raffaele La Capria a Silvio Perrella, in questo delizioso dialogo intitolato Di terra e mare appena pubblicato da Laterza (pagine 90, 14). Un libro nato «mirando all’essenziale» precisano gli autori nella nota finale, «scritto con la voce» tra Napoli e Roma. Uno scambio che ha il respiro fluido dello stile libero, tutto basato sulla metafora marina, sul mondo come acqua: «Ho sempre pensato che tu pratichi l’arte dell’abbandono attivo, ti lasci andare “al volere dell’onda”» dice Perrella all’amico, grande nuotatore (quando aveva 80 anni ha scoperto di poter fare un numero notevole di vasche senza stancarsi), rivelando anche lo spirito di queste pagine fluttuanti tra ricordi, desideri, ironia, felicità. «La bella giornata», dice La Capria — circondato da tutti i libri che avrebbe voluto leggere e che ha letto soltanto in parte, con un gatto sulla poltrona che gli fa compagnia — è un ideale antico a cui ha sempre cercato di essere fedele.

Il Mediterran­eo, culla di tutti i miti depositati nell’inconscio (e quindi nella scrittura) di La Capria, insieme a Napoli, sua città natale (ma anche di Perrella, «esule felice», siciliano di nascita vive da anni nel capoluogo partenopeo), delimita la geografia del racconto che passa dalla luce di Ferito a morte alla «ricerca delle ombre» di un’altra grande napoletana, Anna Maria Ortese. Insieme, dice il critico, formano «un formidabil­e ossimoro napoletano». La città, d’altronde, è terra e mare, che ti segue, perché come scrive Kavafis «né terre nuove troverai, né nuovi mari./ Ti verrà dietro la città». Il Palazzo Donn’anna dove, nel 1932, il padre dello scrittore prende in affitto un appartamen­to per la famiglia, «lunghi e bui corridoi catacombal­i, mura di tufo stillanti, passaggi misteriosi», adatti ai fantasmi, è anche il punto di partenza per le spedizioni verso il Capo di Posillipo o Trentaremi.

Nei sette brevi capitoli del libro perlopiù è Perrella a interrogar­e l’amico, anche se a volte succede il contrario: «Ma tu, Silvio, nell’arte narrativa ti stai esercitand­o? Quali sono le ultime cose che ha fatto?».o anche: «Ma la tua paura che paura è?». Ci sono le «fratellanz­e», quelle di sangue (con il fratello Pelos, maestro di ironia) e quelle con gli amici: Goffredo Parise, Peppino Patroni Griffi, Franco Rosi, Antonio Ghirelli. Pervadono ogni pagina le riflession­i sulla scrittura: lo «stile dell’anatra» (titolo anche di un libro di La Capria) che «nasconde il lavorio delle zampette e fila lungo la superficie dell’acqua» e l’opera letteraria che, a partire da Ferito a morte, si nutre del saggismo meridional­e. La malinconie prendono inevitabil­mente la forma del tempo che passa: «Sai, con l’età i pensieri lievi li devi andare a cercare... E l’umiltà è quel sentimento che una persona come me, che ha superato la quarta età, sente di fronte all’ineluttabi­lità della morte». Con una certezza: l’«amore quieto», il «guscio protettivo che ci si è conquistat­i con i sentimenti».

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Raffaele La Capria, 95 anni (foto Effigie)

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