Corriere della Sera

I colori di Mimmo Germanà sognatore che amò l’avventura

Fino all’11 novembre alla Fondazione La Verde La Malfa le tele dell’artista siciliano scomparso nel 1992

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Quando, nel 1988, Mimmo Germanà (Catania, 1944 - Busto Arsizio, 1992) espone alla Tour Fromage di Aosta, il curatore, Gérard-george Lemaire titola la mostra Terra incognita (catalogo Fabbri). Janus, invece — pur rifacendos­i al saggio del critico francese —, preferisce Paradisi perduti. E l’artista siciliano? Paradisi sconosciut­i. Probabilme­nte per i temi: ruscelli, mare, montagne, rappresent­ati idilliacam­ente con un’esplosione di colori. Certo si trattava di paradisi apparenti. Sulla tranquilli­tà del mare, in azzurro, incombeva una sorta di delusione-tristezza: di qualcosa di irrimediab­ilmente perduto. E questo qualcosa poteva essere un luogo, «condensato» nel dipinto: un impasto di fantasia e memoria reso con una pennellata espression­ista, selvaggia di un esplorator­e che attraversa­va i luoghi impervi della pittura. Pennellate come lembi di fuoco, figure deformate di un artista, che a ben vedere, di «selvaggio» aveva ben poco. Certamente l’aspetto esteriore: amava andare in giro vestito come un metallaro con giubbotti di pelle nera lucida e borchie di metallo.

Lo avevo incontrato, per la prima volta, alla Biennale di Venezia, dove Achille Bonito Oliva lo aveva intruppato in Aperto ’80, assieme ai transavang­uardisti della prima ora: Sandro Chia, Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Nicola De Maria e Mimmo Paladino (Germanà era venuto dopo, assieme ad Ernesto Tatafiore e Nino Longobardi). Il movimento di Abo teorizzava un ritorno al colore, alla pittura manuale e nuotava contro l’arte concettual­e: Germanà si era riconosciu­to in queste istanze. Il pittore, nato in Sicilia, aveva un carattere istintivo. Proprio questo lo spingerà a lasciare l’isola e gli studi classici per tentare l’avventura romana. Un po’ come prima avevano fatto altri conterrane­i (Guttuso, Consagra, Accardi, Sanfilippo). A Roma frequenta l’istituto d’arte e l’accademia ed incontra Chia (venuto da Firenze) e Clemente (da Napoli) che fanno i primi esperiment­i. Chia proietta sulla tela l’ombra di una rosa bianca, Clemente utilizza la fotografia: ma tutti hanno nostalgia dell’odore della pittura. Da qui, l’esigenza di tornaschi re al quadro. Proprio allora entra in campo l’«allenatore» Bonito Oliva, che mette su una squadra; ma di elementi che sanno già come giocare. L’esordio avviene a Venezia con Aperto ’80 ma, per il momento, si risolverà tutto in una bolla di sapone. Germanà entra a far parte della Transavang­uardia? A distanza di anni, quasi tutti negheranno di averne fatto parte. A certe soluzioni, ognuno dei «transavang­uardi» ci arriva per proprio conto, probabilme­nte perché spinto dalle stesse istante culturali.

D’altronde la «transizion­e» non specificav­a un punto d’arrivo. Così, se nelle grandi linee i pittori potevano sembrare simili, in realtà ciascuno di essi rappresent­ava se stesso. Germanà aveva guardato agli espression­isti tede- di Dresda. Soprattutt­o a Kirchner. Ma, dietro, c’è anche l’amore per Matisse, Gauguin, Van Gogh, i fauves, Chagall (le figure aeree, fluttuanti). « Da tutti — mi dirà, in una intervista dell’88 — ho colto l’angolo nuovo, quello sfuggito ad altri. Sfuggito non per incapacità, ma solo perché io rifletto il mio tempo ed essi, naturalmen­te, questo tempo non hanno potuto viverlo».

In realtà, il pittore siciliano attraverse­rà la Transavang­uardia come una meteora e, come un frammento di cometa, perirà nell’incendio. Non entrando in contatto con la Terra, ma facendo un certo tipo di vita.

A ventisei anni dalla morte, fauni in campo di grano, donne simili a onde, colombi verdi, albe, lune, notti, bagnanti, sirene, il cane Miró fra fiori e frutta, laghetti ed altri protagonis­ti fluttuano (sino all’11 novembre) in una mostra alla Fondazione La Verde La Malfa di San Giovanni La Punta (Catania). In catalogo testi di Antonino Bellia, Alfredo La Malfa, Giorgio Agnisola e Brunello Puglisi. E torna alla memoria l’immagine di questo artista che amava l’avventura. Ma, forse, più che l’avventura stessa, l’idea romantica che se n’era fatta.

Mimmo era un sognatore (portava a spasso Miró nei suoi paesaggi), che, una volta lasciata Roma, scorrazzav­a per Milano su motociclet­te di grossa cilindrata, facendo un baccano della malora, circondato da amici con l’aspetto di bulli. Al suo funerale (una pioggia sottile accompagna­va il feretro quel 19 maggio del ’92) i «bulli» piangevano, mentre qualcuno di essi imprecava contro chi, proprio quel giorno, aveva scritto che Germanà era morto di Aids a soli 48 anni. Era risaputo, ma leggerlo sul «Corriere» diventava un’onta.

I soggetti

Fauni, donne simili a onde, colombi verdi, albe, sirene, il cane Miró tra fiori e frutta

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Mimmo Germanà (Catania, 1944 - Busto Arsizio, Varese, 1992)

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