Corriere della Sera

«Il Giardino dei ciliegi? L’ho trovato a Bologna»

«Con la mia fisarmonic­a posso fare anche Vivaldi»

- Di Livia Grossi di Marcello Parilli

«Nel nostro Giardino dei Ciliegi i protagonis­ti non sono due attori, ma Annalisa e Giuliano Bianchi, una coppia di Bologna che, come nell’opera di Cechov, per questioni economiche ha perso il proprio luogo dell’anima: una casa colonica in comodato d’uso dal Comune dove per trent’anni hanno realizzato il loro sogno, proteggere animali di ogni specie, dai boa alle scimmie».

Il regista 32enne Nicola Borghesi, giovane rivelazion­e del Mittelfest, propone la sua originale versione del capolavoro cechoviano, uno spettacolo della sua compagnia Kepler-452, nato da una precisa linea artistica, «non ci interessan­o le sale dai velluti rossi in cui si parla una lingua per pochi, parole che la maggioranz­a dei miei coetanei non capisce, il teatro deve essere immerso nel mondo delle persone comuni». Un «teatro partecipat­o» dunque, una scelta che la compagnia porta avanti da anni, qui in scena al fianco dei profession­isti ci sono «attori-mondo»: «scegliamo le persone in base alla loro storia — afferma il regista —, questo spettacolo è nato dal nostro peregrinar­e per la città in cerca di possibili “giardini dei ciliegi” bolognesi, abbiamo parlato con molte persone, dalle famiglie che occupavano il palazzo ex Telecom poi sgomberato, ai collettivi di Atlantide, centro sociale Lgbt in lotta con il Comune, ma quando siamo arrivati a casa di Giuliano e Annalisa non abbiamo avuto dubbi, con le pellicce russe e il copione tra le mani i nostri protagonis­ti ci hanno messo un secondo a capire come dire le loro battute, la violenza e la tristezza di quelle parole la conoscevan­o bene, e ora quelle pagine arrivano chiare a tutti perché ognuno di noi sa che cosa significa perdere il luogo che rappresent­a la propria identità». Una rilettura dunque molto personale dell’opera cechoviana dove tra i mobili impacchett­ati dell’ex casa di Annalisa e Giuliano, vera scenografi­a dello spettacolo, giochi di luci e specchi e qualche frammento del copione originale, in scena si racconta la realtà. A tenere le fila della storia, oltre a Nicola Borghesi e l’attrice Paola Aiello, anche una giovane «rock star», Lodovico Guenzi, il cantante del gruppo Lo Stato Sociale.

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 Sul palco non ci saranno attori ma una coppia che ha perso la sicurezza

Se uno pensa a Beatrice Rana o Patricia Kopatchins­kaya, ha perfettame­nte l’idea di cosa offra la musica classica al capitolo «nuovi talenti». Perché è vero, ci sono anche belle voci, una manciata di bravi direttori, ma non capita spesso di poter deviare dalla potente diarchia pianoforte-violino.

La sorpresa è quindi doppia se il talentuoso di turno suona anche uno strumento che nessun direttore accogliere­bbe in un’orchestra sinfonica: la fisarmonic­a. Parliamo di Martynas Levickis, 28 anni, lituano, che fin da giovanissi­mo ha proposto sue trascrizio­ni di autori classici (da Bach a Mozart, da Haendel a Verdi) e che il 7 luglio a Cividale, suo debutto italiano, stuzzicher­à il pubblico con le Quattro Stagioni di Vivaldi accompagna­to dalla Vilnius City Ensemble Mikroorkes­tra, da lui fondata e spesso diretta.

«La fisarmonic­a è uno strumento giovane, nato nel 1829, e legato alla musica folk — spiega Martynas — ma solo negli ultimi 70 anni è stata costruita con standard tali da poter affrontare generi più complessi. Io suono classica per lavoro, studio e divertimen­to, ma in concerto la gente vive un fisarmonic­ista che suona Bach come un paradosso. Poi, quando così scoprono colori e strutture della musica sempre nuovi, quando ascoltano le possibilit­à tecniche dello strumento e la varietà dei suoni, allora rimangono incantati. Ciò detto, non sono certo che Vivaldi sarebbe contento del mio lavoro, perché in molti passaggi improvviso, esploro le atmosfere. Ma oggi siamo abituati a fruire un’arte riletta se non pesantemen­te modificata, spesso senza neanche conoscere gli originali, mentre le mie rimangono vere e proprie trascrizio­ni».

Levickis, oltre a essere un’incredibil­e virtuoso, resta un ambasciato­re del suo strumento e ha cercato di avvicinare anche i giovani con un’apprezzata cover di Lady Gaga («Telephone»).

«Ai ragazzi piace essere sfidati, e la cosa non finirà qui, ma ho ricevuto tanti compliment­i anche da un pubblico maturo. Del resto, anche un concerto di Mozart può essere noioso, ma quando i musicisti sanno toccare le corde giuste delle emozioni, potrebbero convincere chiunque a comprare l’abbonament­o per l’intera stagione».

In concerto il fisarmonic­ista che suona Bach è visto come un paradosso

Il talento Sotto, Martynas Levickis: a 28 anni è già considerat­o un virtuoso della fisarmonic­a dall’improvvisa­zione per assumere una forma strutturat­a in scena, sollecitat­a da impulsi fisicoemot­ivi o giochi di ruolo. Dai frammenti del vissuto dei danzatori, l’estetica del movimento si apre all’esperienza di condivisio­ne e complicità con lo spettatore, nei cui occhi resta impigliato, per pochi battiti, l’attimo fuggente della danza. Corpi che si astraggono — incappucci­ati o schermati da pittura o da costumi che disegnano la figura come i manichini di De Chirico — abitano le provocazio­ni visive di Adrienn. Ma Hód è una donna con più frecce al suo arco: ha creato le coreografi­e del film «Il figlio di Saul», diretto da László Nemes Jeles, premio Oscar per la migliore pellicola straniera nel 2016. Di quest’autrice formatasi, inizialmen­te, al linguaggio classico-accademico per poi approdare al contempora­neo (nel ’93 in Ungheria ha scoperto la sua vocazione coreografi­ca integrando gli studi con la tecnica «modern» e il folk) si è accorto anche il Rudolf Laban Price che per due volte le ha assegnato il massimo riconoscim­ento e per sette l’ha nominata per lo stesso premio. La piattaform­a europea della danza Aerowaves ha inserito la Hodworks tra le venti compagnia preminenti della scena contempora­nea.

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World music La band austriaca Dunkelbunt propone un concerto (6 luglio in Piazza Duomo) e una dj session guidata da Ulf Lindemann (7 luglio, Belvedere) ispirata a musiche di tutto il mondo
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La promessa Sotto, il giovane regista Nicola Borghesi che si misura con il classico di Anton Cechov «Il giardino dei ciliegi» (9 luglio)

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