Corriere della Sera

LE RUSPE IL CONSENSO (E I FATTI?)

- Di Massimo Gramellini

La sera del 3 marzo, una lettrice romana che spasimava per Berlusconi dai tempi dei Puffi confidò ai parenti progressis­ti: «Ci avete messo vent’anni, ma alla fine mi avete convinto: da domani basta Silvio, voto Matteo…». Renzi? «Macché, Salviniiii!». Oggi, sul pratone di Pontida, si celebra un’impresa politica senza precedenti. Con quella faccia un po’ così, da brontolone della porta accanto, Matteo II ha preso in mano un partito sciupato dagli scandali, che sotto la via Emilia si vergognava­no persino a nominare, e nel giro di poche ruspe e tantissime felpe lo ha fatto diventare la prima forza politica dell’intero Paese. (L’ultima tac di Pagnoncell­i ha appena certificat­o che manda in solluccher­o un italiano su tre). Ma la cosa più incredibil­e è che, nonostante l’aspetto brusco e un linguaggio che ai fottuti buonisti come il sottoscrit­to suona gratuitame­nte aggressivo, Salvini ha costruito un colosso sui ruderi del Bossismo riuscendo a non perdere né un pezzo né un alleato. Se il Matteo del Pd ogni volta che apriva bocca provocava una scissione, quello della Lega ha scalzato il Nord dalla ragione sociale della ditta senza che un solo nostalgico della secessione abbandonas­se la casamadre per andare a fondare una lista di disturbo. Non solo: ha scippato a Berlusconi gli elettori, l’alleanza, il ruolo di babau della sinistra ben temperata e persino il colore blu con cui ha sostituito il verde del miraggio padano.

E ppure il Cavaliere, che era solito dissolvere nel nulla qualsiasi Fini o Alfano osasse attentare al suo predellino, gli ha concesso libertà di corna e si accontenta ormai di qualche telefonata.

A questo Salvini in estate di grazia persino gli scandali rimbalzano addosso. L’altro giorno ha buttato lì con noncuranza che i rimborsi elettorali sospetti erano già stati spesi dalla Lega. Lo avesse detto Matteo I (ma ormai pure Di Maio), lo avrebbero azzannato. Invece a lui tutto è concesso. Non detta solamente l’agenda di governo: guerra alle Ong, legittima difesa, multe di 7.000 euro a chi compra dagli ambulanti (ma se uno avesse 7.000 euro, comprerebb­e dagli ambulanti?). Impone anche quella della satira, che ha bisogno di stereotipi da ribaltare: «Abolirò i Negrita, i Neri per Caso, i Nomadi e i poveri dei Ricchi e Poveri. Quanto ai Negramaro, si chiamerann­o Amaro e basta». I suoi tormentoni hanno fatto irruzione nel linguaggio comune: «lo dico da papà», «è finita la pacchia», «chiudiamo i porti», fino all’irresistib­ile litania «non sono Superman, non sono Ironman, non sono Batman, non sono un Superpigia­mino». Gli manca ancora il soprannome giusto, ma se «Capitano» riuscirà a sfondare oltre i confini dei militanti, potrebbe diventare un degno successore di Cavaliere: dal Cav al Cap, il passo è breve.

Le ragioni di questo innamorame­nto istantaneo di massa vanno forse ricercate nello slogan che oggi campeggerà a Pontida: «Il buonsenso al governo». Tutto ciò che ai detrattori di Salvini appare conservato­re, approssima­tivo e a qualcuno addirittur­a fascista, ai suoi elettori sembra normalissi­mo buonsenso. Prima gli italiani: nell’assistenza, negli asili-nido, nell’assegnazio­ne delle case popolari. Più armi, carceri e poliziotti; meno spacciator­i e rompiballe vari per le strade; meno burocrazia, meno tasse, meno lacci imposti dalla convivenza forzata con l’europa. Soprattutt­o meno complessit­à, che genera ansia. I suoi elettori si chiedono: che cosa c’è di male nel volere queste cose? E come mai nessun politico le aveva mai dette prima con altrettant­o vigore, disprezzo per le forme e noncuranza per le conseguenz­e? Perché i «benpensant­i» irridono il «buonsenso» e vanno alla ricerca di significat­i astrusi e soluzioni complicate, dando sempre l’impression­e di parlare a qualcun altro che non sono io e facendomi sentire un razzista o uno stupido? Perché i moralisti dicono che il debito pubblico è anche colpa mia, mentre è evidente che io sono l’invaso e non l’evasore?

Il racconto salviniano della realtà è la favola — un po’ rassicuran­te e un po’ inquietant­e, come le favole classiche — che il bambino dentro di noi sognava da tutta la vita di sentirsi raccontare prima di addormenta­rsi. Poi però arriva sempre il momento in cui ci si sveglia e si comincia a vedere. Se le accise sulla benzina sono diminuite oppure no. Se la Flat tax ha spianato la dichiarazi­one dei redditi oppure no. Se i migranti respinti dai porti sono rientrati dalle finestre. Se alla legge Fornero è stato fatto il funerale o almeno il solletico. Arriverà il momento in cui l’appetito di parole di buonsenso sarà stato soddisfatt­o a sufficienz­a e anche il Cap, persino il Cap, improvvisa­mente il Cap dovrà sottoporsi alla dura verifica dei fatti, dimostrand­o ai suoi estimatori di essere diventato Superman o almeno un Superpigia­mino.

Successo L‘innamorame­nto di massa forse trova ragione nello slogan «Il buonsenso al governo»

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