Corriere della Sera

«Farò un partito diverso. Renzi? Spero resti»

Pd, Zingaretti lancia la sfida «Primarie a marzo, ci sarò»

- Di Aldo Cazzullo

Nicola Zingaretti annuncia al Corriere la sua candidatur­a: «Congresso Pd prima delle Europee, ci sarà. Dobbiamo azzerare le forme-partito, compresa la nostra. La Lega? Autoritari­a, razzista e xenofoba. Cosa farà Renzi? Dipende da lui, se si sentirà di dare il suo contributo. Calenda? Con il Fronte repubblica­no si perde. I 5 Stelle si dividerann­o? È probabile, e noi dovremo confrontar­ci. I populisti andranno all’attacco delle istituzion­i. Mio fratello? Ci amiamo, ma facciamo vite distinte».

Zingaretti, allora si candida?

«Io ci sono. Anche se sono il primo a dire che il problema fondamenta­le non è il segretario».

Qual è allora?

«Riaprire una sfida collettiva. Molti di noi sono fuori da noi. C’è un popolo di competenze e di sensibilit­à che è disperso, frammentat­o. E c’è una nuova generazion­e, molto combattiva, che non ci ha mai incontrati. L’obiettivo è riaggregar­e. Ricostruir­e una cultura politica che ti faccia sentire parte di qualcosa. Sostituire alla rabbia interna la passione, alla polemica il contenuto».

E come?

«Con un Pd diverso, per costruire una nuova alleanza azzerando le attuali forme politiche. Anche la nostra. Dobbiamo saper includere e valorizzar­e come Pd le forze produttive, le energie popolari e sociali, in una forma-partito radicalmen­te democratic­a, capace di conciliare una forte leadership collegiale e decisioni dal basso».

Calenda parla di Fronte repubblica­no.

«Ogni ipotesi frontista su categorie non sentite intimament­e dalla gente porterà a nuove sconfitte. Però apprezzo l’impegno di Calenda su molti contenuti che condivido. Il nostro movimento deve animare una larga alternativ­a per il governo del Paese; che non significa rimettere insieme i cocci, ma immaginare l’italia del 2050».

Nel 2050 molti di noi saranno morti.

«Noi dobbiamo pensare alle nuove generazion­i. Di più: dobbiamo imparare da loro. In Italia c’è un’enorme questione giovanile, che la politica neanche riesce a vedere. Forse è la prima volta nella storia che la nuova generazion­e ha tanto da insegnare a quella precedente. I nativi digitali rappresent­ano un’opportunit­à, anche per i “padri analogici”. Non riesco ad accettare questo spreco di energie e talenti».

Quali sono i tempi della sua candidatur­a? Quando deve tenersi il congresso Pd, secondo lei?

«Il congresso del Pd è indispensa­bile prima delle elezioni europee. Ma anche insufficie­nte. Occorre aprire una fase nuova. Riunire le energie intellettu­ali, profession­ali, scientific­he che da tempo sono diventate ancelle del potere o cassandre isolate. Scrivere un manifesto che andrebbe discusso, arricchito e corretto da mille, diecimila agorà, dove la gente liberament­e possa, dal basso, in modo talvolta rozzo e contraddit­torio ma vero, elaborare le suggestion­i di un’italia futura. A partire dalla loro condizione reale».

Anche Prodi propone di andare oltre il Pd. Orfini risponde che oltre il Pd c’è la destra.

«Se fosse vero, sarebbe di destra l’82% degli italiani; e mi rifiuto di crederlo. Non occorre una discussion­e interna che sia utile a noi e non all’italia. Ci attende un lavoro paziente, collettivo e umile. Noi non Chi è

● Nicola Zingaretti, 52 anni, pd, è presidente della Regione Lazio dal 2013, riconferma­to alle Regionali di marzo

● Zingaretti ha iniziato la sua militanza politica nel Pci e ha guidato negli Anni 90 la Sinistra giovanile

● Poi è stato europarlam­entare e presidente della provincia di Roma dobbiamo chiedere a nessuno di aderire a qualcosa di preconfezi­onato; dobbiamo chiedere a tanti di costruire insieme una nuova proposta».

Ha senso eleggere un segretario in assemblea a luglio e cambiarlo con le primarie a marzo?

«Ho fiducia nelle scelte di Martina. Sta raccoglien­do le opinioni di tutti; saprà trarne una sintesi. Vedremo cosa proporrà all’assemblea nazionale del 7 luglio sulla data e il percorso per il congresso».

Renzi cosa farà?

«Dipende in gran parte da lui, se si sentirà di dare il suo contributo».

Potrebbe andarsene?

«Non ne ho la più pallida idea. Penso e spero di no».

Se lei fosse eletto segretario, resterebbe anche presidente della Regione?

«Credo che fare l’amministra­tore sia un valore aggiunto: significa portare nella politica la concretezz­a e la durezza della vita reale dei cittadini. Se il 4 marzo mi hanno votato 340 mila persone che alle politiche hanno scelto un’altra coalizione, è perché il Cotral ha 550 pullman nuovi, i treni regionali vengono puliti tutti i giorni, la sanità che perdeva 800 milioni ha il bilancio in attivo».

Ma è possibile tenere entrambe le cariche?

«Ho sentito qualcuno, forse troppo preso dal Truman Show di una politica narcisista, dire che Nicola in questi anni è scomparso. Invece ero nella trincea dell’amministra­zione e dei territori».

Salvini l’ha elogiata. Che effetto le ha fatto?

«Mi ha fatto piacere. Ha riconosciu­to che nelle periferie, nel quartiere dei Casamonica, insieme con la procura e le forze dell’ordine c’è la Regione».

Ma lei di Salvini cosa pensa?

«Che rappresent­a una nuova destra. Molto più decisa, marcata ed estremista rispetto a quella del ’94. Non è più la Lega di Bossi, circoscrit­ta geografica­mente e concentrat­a sul federalism­o. È la Lega di Salvini: una forza nazionale, autoritari­a, razzista e xenofoba. Occorre prendere le misure a questo nuovo fenomeno; che già si manifesta nelle forme più indecenti, con la chiusura dei porti a una nave con quasi 700 persone, tra cui tanti bambini e tante donne incinte».

È una destra che vince le elezioni.

«Ci siamo allineati al peggiore vento europeo, che spira forte. La Francia, la Germania e l’inghilterr­a, nonostante Brexit, restano ancorate a princìpi democratic­i. L’italia si è collocata prontament­e con l’ungheria, la Polonia, Putin, Erdogan e l’india di Modi».

È un governo di destra?

«L’insieme del governo è egemonizza­to dalla destra. Ma presenta evidenti contraddiz­ioni. Il grosso dell’elettorato che lo sostiene ha votato 5 Stelle, ed è un errore madornale considerar­e i 5 Stelle un’organica formazione di destra. È l’errore che non ci ha permesso di tentare un’iniziativa politica, dopo il voto, nei confronti di questo mondo».

Cosa sono allora i 5 Stelle?

«Un corpaccion­e dove c’è dentro un po’ di tutto. Prevale una protesta, spesso assai giustifica­ta, verso le istituzion­i italiane ed europee così come sono oggi, i partiti che sono diventati macchine elettorali. Da questa contraddiz­ione deve scaturire una nostra opposizion­e intelligen­te, che tenda a disarticol­are, a convincere, a spostare orientamen­ti dentro quell’elettorato».

La democrazia è in pericolo I populisti non realizzera­nno le promesse, si inventeran­no altri nemici e agiranno in chiave autoritari­a

Il futuro di Renzi dipende in gran parte da lui, se si sentirà di dare un contributo Potrebbe andarsene? Non ne ho la più pallida idea La Lega di Salvini è autoritari­a e razzista, molto più marcata ed estremista di quella del ’94

Congresso prima delle Europee ma non basta Bisogna scrivere un manifesto che va discusso, arricchito e corretto in diecimila agorà, dove la gente possa intervenir­e a partire dalla sua condizione reale

Sta dicendo che i 5 Stelle sono destinati a «disarticol­arsi», a dividersi?

«Probabile. La loro identità ha un limite che definirei genetico: una lettura della società che parte dalla presunzion­e di rappresent­are indistinta­mente i “cittadini”. Va bene per raccoglier­e consensi, ma è letale al momento del governo. I “cittadini” non esistono, perché è “tra” i cittadini che vivono le disuguagli­anze. E devi scegliere».

Cos’ha fatto la sinistra contro le disuguagli­anze?

«La sinistra ha accettato il terreno del pensiero unico: mercato, meritocraz­ia, competizio­ne, narcisismo, consumismo. Al massimo è riuscita a declinare un liberismo progressis­ta. Oggi la spinta liberista ha portato al fallimento delle società occidental­i; e anche la sinistra si è trovata senza la terra sotto i piedi. Non si possono riproporre vecchie ricette. Ma l’innovazion­e — parola inflaziona­ta — va indirizzat­a verso la giustizia, contro le disuguagli­anze. Altrimenti i frutti del crollo del liberismo vengono raccolti dalle forze populiste, di destra, antieurope­e. E per l’italia questo è particolar­mente pericoloso».

Perché?

«Perché l’italia ha una democrazia e una Repubblica fragili. Quelli che si proclamano sovranisti boicottand­o l’europa, in realtà portano la sovranità italiana al massacro: l’italia senza Europa sarebbe terra di conquista delle nuove, grandi, aggressive potenze del mondo. Solo l’europa può salvarci».

Le piace questa Europa?

«No. Questa Europa, così come funziona, o meglio non funziona, è una delle cause del successo della destra. L’europa può ridiventar­e popolare, se si orienta alla crescita e al sostegno della vita dei cittadini: quindi stop all’austerità. Le forze europeiste dovrebbero uscire dalla stasi e raccoglier­e per le strade cento milioni di firme per l’elezione diretta del presidente degli Stati Uniti d’europa».

Ma la sinistra, finita la fase blairiana, cosa dovrebbe fare?

«Tornare all’origine della sua funzione storica. Tornare alle “persone”, come dicono i cattolici. Chiudere la forbice tra chi ha di più e chi non ha. Questa forbice non riguarda solo il salario o la società divisa in classi. L’aumento delle disuguagli­anze è legato anche a un modello di sviluppo che ha colpito le aree interne del Paese, a vantaggio delle grandi città. Le nostre politiche hanno ignorato questa desertific­azione; non è un caso che la Lega o la retorica dei “cittadini” inizi proprio nelle province. Dobbiamo dare una nuova centralità ai territori; anche lasciando a livello locale una quota del finanziame­nto pubblico ai partiti. In cambio tutti nei Comuni debbono concorrere a far crescere l’adesione al 2 per mille».

Nel Pd i territori non hanno contato molto più di nulla. «purtroppo, per il correntism­o

e la diffusione di forme nuove di notabilato, non si rappresent­ano più gli interessi dei territori nelle sedi decisional­i; si rappresent­a il proprio gruppo di appartenen­za. Ciò va superato per il bene della democrazia, oggi in pericolo».

Perché in pericolo?

«Perché quando i populisti al potere non riuscirann­o a realizzare quel che hanno promesso, si inventeran­no un ulteriore nemico esterno. Prima critichera­nno le procedure democratic­he, lente e inconclude­nti. Poi passeranno direttamen­te all’attacco delle istituzion­i, all’informazio­ne, ai diritti, in chiave autoritari­a».

Ma se l’alleanza di governo dovesse rompersi, il Pd potrebbe allearsi con i 5 Stelle?

«Se avessi voluto una semplice alleanza, l’avrei fatta in Regione. Però credo che dentro i 5 Stelle si aprirà un conflitto, e in futuro conoscerem­o un movimento diverso; con il quale sarà indispensa­bile confrontar­si».

Cosa risponde a quelli che la consideran­o poco più del fratello del commissari­o Montalbano?

«Non sento Luca da due mesi: ha girato le nuove puntate di Montalbano, ora organizza il suo festival a Pesaro. Siamo uniti da un amore profondo, noi fratelli e nostra sorella Angela; ma con una maniacale difesa della vita privata e dei modi distinti di vivere quella pubblica».

 ??  ?? Impegno Nicola Zingaretti, 52 anni, governator­e del Lazio, a un incontro dell’alleanza del Fare, il soggetto creato per rilanciare il Pd (Imagoecono­mica)
Impegno Nicola Zingaretti, 52 anni, governator­e del Lazio, a un incontro dell’alleanza del Fare, il soggetto creato per rilanciare il Pd (Imagoecono­mica)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy