Corriere della Sera

Ricollocaz­ione, centri e «volontarie­tà» Così il patto in Europa penalizza l’italia

Disattesi i punti chiave che dovevano segnare la svolta

- di Fiorenza Sarzanini fsarzanini@corriere.it

Sono bastate 24 ore per capire quanto l’accordo raggiunto a Bruxelles penalizzi l’italia. E come sui tre punti chiave che dovevano segnare una svolta per la gestione dei flussi migratori da parte del nostro Paese, si siano addirittur­a fatti passi indietro. Passato il momento delle dichiarazi­oni di circostanz­a sul fatto che le «nostre frontiere sono le frontiere di tutti», si fanno i conti con la realtà. E si comprende come le regole stabilite dal consiglio europeo non abbiano affatto tenuto in consideraz­ione le istanze di Roma. Perché se era scontato che non sarebbe stata fatta alcuna modifica al trattato di Dublino, quanto stabilito per i centri di detenzione, la relocation e le Ong va nella direzione opposta a quello che era stato chiesto nei giorni precedenti alla riunione. Basta una parola per comprender­lo: volontarie­tà. La maggior parte degli Stati che aderiscono all’unione europea non ha mai collaborat­o sull’immigrazio­ne anche di fronte al rischio di sanzioni, sembra davvero impossibil­e che possa farlo spontaneam­ente.

Centri di detenzione

Sin dai primi giorni dopo il suo insediamen­to al Viminale Matteo Salvini ha dichiarato che i Centri di accoglienz­a «devono essere fatti nei Paesi di origine». E poi ha specificat­o che in ogni caso «i Cie devono essere chiusi perché basta avere i migranti a spasso». In realtà i Cie sono già chiusi e dunque è probabile che il ministro si riferisse proprio ai centri per chi richiede asilo già presenti sul territorio, sia pur in numero molto ridotto rispetto ai posti necessari. Il documento siglato a Bruxelles due giorni fa prevede la creazione di strutture di detenzione, ma senza alcun obbligo per i Paesi. La clausola principale dell’intesa stabilisce inoltre che soltanto chi li apre può chiedere il ricollocam­ento dei profughi e ottenere i fondi per effettuare i «rimpatri» forzati. L’italia invoca proprio redistribu­zione e soldi, ma a questo punto non potrà avere nulla senza allestire centri.

La ricollocaz­ione

La scelta di redistribu­ire eritrei e siriani in tutta l’ue fu presa nel 2015 dopo il naufragio di Lampedusa che provocò oltre 300 morti. Dall’italia e dalla Grecia dovevano partire complessiv­amente 40 mila stranieri, equamente divisi. Tre anni dopo il nostro Paese è riuscito a ricollocar­ne 13.739 tra mille difficoltà e rifiuti, nonostante la minaccia di infrazione da parte della Commission­e europea per chi non avesse cooperato. D’ora in poi non se ne farà più niente. L’accordo appena raggiunto elimina del tutto l’obbligo di accoglienz­a e quindi gli stranieri già presenti in Italia certamente rimarranno, così come i nuovi arrivati.

I divieti alle Ong

L’intimazion­e alle Ong contenuta nell’articolo 3 dell’accordo è chiara e perfettame­nte in linea con quanto già deciso dall’italia: «Tutte le navi operanti nel Mediterran­eo devono rispettare le leggi applicabil­i e non interferir­e con le operazioni della Guardia costiera libica». Il problema è quanto accadrà dopo e in realtà sta già accadendo. Perché le partenze dalla Libia certamente continuera­nno e anzi è probabile che si intensific­hino.

Si è già visto in passato che i trafficant­i utilizzano gli sbarchi come forma di pressione nei confronti dell’italia e più in generale dell’europa, quindi non è escluso che — senza la presenza delle Ong nel Mediterran­eo — riprendano i viaggi diretti verso le coste italiane. Questo naturalmen­te fa alzare il livello di rischio rispetto ai naufragi, tenendo conto che le organizzaz­ioni criminali utilizzano gommoni e imbarcazio­ni scadenti. E fa scattare l’obbligo di soccorso per le nostre motovedett­e della Guardia costiera e per i mezzi della marina Militare. Dunque, obbliga all’assistenza e all’accoglienz­a di chi sbarca, senza poter chiedere aiuto agli altri Stati perché non è ipotizzabi­le in casi del genere chiudere i porti e quindi l’italia diventa «luogo di primo ingresso» in base al Trattato di Dublino.

Gli aiuti

Molti Stati dell’ue non hanno collaborat­o neanche di fronte al rischio di sanzioni

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La cancellier­a tedesca Angela Merkel, 63 anni, sorride di fianco al presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, 53 anni, alla fine del vertice Ue
(Attili/ansa) Insieme La cancellier­a tedesca Angela Merkel, 63 anni, sorride di fianco al presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, 53 anni, alla fine del vertice Ue

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