Corriere della Sera

Sospetti, trappole, processi La guerra russa allo storico che indaga gli orrori di Stalin

Dmitriyev rischia 20 anni per pedofilia e violenze. Tra mille dubbi

- Di Fabrizio Dragosei

MOSCA Yurij Dmitriyev, uno storico ed etnologo sessantadu­enne che ha alzato il velo in questi anni sui crimini staliniani in Karelia, è di nuovo in prigione. L’accusa è di aver compiuto atti sessuali «violenti» nei confronti della figlia adottiva tredicenne. Ma la vicenda è sempre quella dalla quale era stato assolto in primavera dopo aver passato un anno in prigione. Allora l’addebito era più leggero e ruotava su nove foto della ragazzina. Adesso Dmitriyev rischia venti anni di carcere e il suo caso sta suscitando grandi polemiche.

Lo storico è il responsabi­le dell’ufficio in Karelia (al confine con la Finlandia) di Memorial, l’associazio­ne fondata dal premio Nobel per la pace Andrej Sakharov che si occupa della riabilitaz­ione delle vittime staliniane e dei diritti umani in Russia. Dopodomani si apre poi il processo contro Oyub Titiyev, direttore dell’ufficio dell’organizzaz­ione in Cecenia. Lui, che lavora in un ambiente particolar­mente ostile (controllat­o dall’uomo forte di Putin, Ramzan Kadyrov) è imputato di possesso di droga. Gliel’hanno trovata in macchina. Nella Russia centrale, a Yoshkar-ola, le autorità locali stanno poi per sfrattare sempre la stessa Memorial per «violazioni amministra­tive». Poco distante, i funzionari dell’organizzaz­ione non governativ­a hanno scoperto una fossa con duecento vittime delle esecuzioni degli anni Trenta.

È sempre più difficile dare torto ai difensori dei diritti umani quando dicono che tutto questo non è casuale. «Sono in molti a non amarci, soprattutt­o in determinat­e strutture», dice il presidente di Memorial Ian Rachinskij. Che aggiunge: «Il passato di Putin ha il suo peso».

Il caso di Dmitriyev è sintomatic­o. Lui ha ricostruit­o la storia di quarantami­la persone finite nell’ingranaggi­o delle «purghe» nella sua regione soprattutt­o nel biennio 19371938. Poi ha scoperto l’enorme carnaio di Sandarmokh dove furono nascosti i corpi di novemila vittime.

Trent’anni di lavoro interrotti l’anno scorso quando è scattata una perquisizi­one. Nel computer hanno trovato nove foto della figlia in un file intitolato «salute». La ragazzina era debole di costituzio­ne e Yurij l’aveva fotografat­a nuda di fronte e di profili in pose chiarament­e mediche. Almeno stando a testimonia­nze di esperti i quali hanno escluso che si potesse trattare di materiale creato a scopo pornografi­co. Lo storico è stato anche sottoposto a esami da parte di un istituto psichiatri­co governativ­o che non ha riscontrat­o tendenze pedofile.

Ma l’assoluzion­e di pochi mesi fa ha innescato le nuove accuse, assai più gravi. Tulle le Ong in Russia hanno enormi difficoltà, ma Memorial, la più prestigios­a, sembra in collisione continua con le autorità. Ai tempi del presidente Eltsin, la riabilitaz­ione dei milioni di russi repressi fu addirittur­a affidata a una commission­e presieduta da Aleksandr Yakovlev, ex ideologo della perestrojk­a di Gorbaciov. Ma anche lui aveva non pochi problemi nella sua attività: «Nonostante la copertura presidenzi­ale, alla vecchia sede del Kgb dove ora lavora l’fsb, mi negano i dossier», mi confessò una volta con amarezza.

Dal Duemila le cose sono peggiorate. Memorial ha recentemen­te pubblicato una lista con quarantadu­emila nomi di agenti della polizia politica dell’epoca, l’nkvd, promossi o decorati tra il 1935 e il 1939. Verosimilm­ente molti furono coinvolti nelle uccisioni. In quattromil­a furono a loro volta fucilati per ordine di Stalin. La cosa ha suscitato le proteste di attuali agenti e di familiari. Alcuni hanno scritto una lettera aperta a Putin. Altri hanno rilasciato dichiarazi­oni: «È come andare a rovistare nei panni sporchi. C’è chi vuole creare difficoltà al Paese», ha detto il nipote dell’agente Yakov Vasiliev.

Ma lo scopo di Memorial è un altro: quello di consentire una riconcilia­zione tra discendent­i delle vittime e dei carnefici. Denis Karagodin, ad esempio, ha ricevuto la lettera di Yulia Zyrianova, nipote dell’uomo che aveva fucilato il bisnonno: «Una pagina infame nella storia della mia famiglia», c’era scritto.

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Attacco Yurij Dmitriyev, 62 anni, storico ed etnologo, ha alzato il velo in questi anni sui crimini staliniani in Karelia. Ora è accusato di aver compiuto atti violenti nei confronti della figlia adottiva
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Il memoriale Karelia, al confine con la Finlandia: memoriale di fosse comuni

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