Un canale prioritario per le donne in pericolo Così «protocollo Eva» combatte la violenza
Il progetto nazionale della Polizia operativo a Milano
Domenica 24 giugno MILANO un uomo, cinese, 39 anni, si attacca al citofono di un’abitazione in via Fabrizio De André, zona Sud di Milano. Ha fatto qualche mese in carcere, quel giorno è (sarebbe) agli arresti domiciliari. L’accusa: maltrattamenti in famiglia. È però evaso, e s’è presentato sotto casa della moglie. Il solo suono del citofono è una minaccia. La donna chiama il 112. Le Volanti della polizia corrono in sirena e lo arrestano. Il particolare chiave, in questa storia, sta nella telefonata: perché il numero di quella donna è inserito in una «lista speciale» che contiene i cellulari di vittime o ex vittime di stalking e maltrattamenti, donne in situazione di potenziale pericolo, dopo un passato di violenza. Quando i loro numeri contattano il centralino d’emergenza, la chiamata entra in un canale di priorità assoluta. Ha la precedenza su tutte le altre, e con la stessa rapidità partono le macchine in strada. È la più recente e innovativa strategia della polizia per il contrasto della violenza di genere.
La banca dati
Il progetto è nazionale ed è partito il primo aprile su impulso della Direzione centrale anticrimine. È lo sviluppo del «Protocollo Eva», la strategia di contrasto contro stalking e maltrattamenti studiato nel 2014 dall’ufficio prevenzione generale di Milano e poi esportato in tutte le questure italiane. «Eva» è un sistema: i poliziotti hanno fatto formazione per gestire allo stesso modo gli interventi per violenza e liti; ognuno di questi interventi entra in una banca dati che registra anche tutti gli episodi «satellite» (ad esempio, una lite segnalata da un vicino di casa e per la quale la donna non fa denuncia); vengono catalogati anche i reati minimi, come ingiurie, minacce, molestie. Tutto questo diventa fondamentale in caso di una richiesta d’aiuto successiva, perché i precedenti sono la base per arrivare a un arresto o un allontanamento d’urgenza da casa. Il «Protocollo Eva» ha l’obiettivo di anticipare e limitare le esplosioni di violenza; il suo sviluppo si occupa del dopo. Estende la tutela. La rafforza. La prolunga. «Quando denunciano — spiega la dirigente dell’upg di Milano, Maria Josè Falcicchia — le donne ci affidano la loro sofferenza, e oggi sempre più siamo in grado di presentarci a loro come un interlocutore che resta, che non si allontana».
La «lista speciale»
L’evoluzione del «Protocollo Eva» si fonda su tre aspetti. Per prima cosa, i penitenziari segnalano le scarcerazioni dei detenuti per violenza di genere. In quel momento, la vittima viene avvertita e, in contemporanea, si attiva una rete di attenzione e vigilanza sul territorio (anche se non c’è un provvedimento della magistratura), che a Milano avviene con il contributo della Divisione anticrimine. In questa rete entrano anche situazioni che non sono ancora arrivate a un arresto, ma che vengono valutate ad alto livello di rischio. Tutti i contatti delle vittime o ex vittime vengono poi inseriti nella «lista speciale», che assicura la priorità su chiamate d’emergenza e interventi. Oggi a Milano, nella questura diretta da Marcello Cardona, in quella lista sono inseriti dodici numeri. «Molte donne — continua Maria Josè Falcicchia — vivono le situazioni di violenza nella sopportazione (per paura, per i figli, per altre forme di pressione); quando passano alla ribellione, soprattutto se restano nel loro ambiente, dobbiamo assicurare la certezza di una presenza nel tempo e di una risposta rapida e continua».
Nella sola Milano gli interventi delle Volanti per generiche «liti in famiglia» sono stati oltre 4.300 nel 2017 e più di 2 mila nella prima parte del 2018. Tra questi, 1.583 e 740 hanno portato a un «modulo Eva», sono dunque stati catalogati all’interno della banca dati di attenzione sulla violenza di genere. Numeri che raccontano una pressione alta e costante, un magma di aggressività «familiare» diffuso. In questo quadro, il lavoro dell’upg di Milano ha portato a 92 arresti nel 2017 e 45 nel 2018. E questa è la strategia che ha l’obiettivo primario di contenere le aggressioni ed evitare degenerino in un omicidio. Lo sviluppo del «Protocollo Eva» si occupa del «secondo tempo» di queste storie, prolunga il sistema di vigilanza. «In alcuni casi — conclude Falcicchia — un allontanamento da casa, un arresto o un periodo in carcere sono sufficienti per disinnescare l’ossessione violenta, in altre situazioni ciò non accade: questo è il vero tema al centro delle nuove strategie di prevenzione».
Telefonate al 112 Corsia preferenziale per le telefonate al 112 delle donne che vivono in potenziale pericolo
«La polizia deve essere un interlocutore che non dimentica le donne dopo la violenza»