Corriere della Sera

LE SPOGLIE DI SIMONE VEIL NEL PANTHEON DEGLI SMEMORATI

- di Massimo Nava

Avolte il caso aiuta. Le spoglie di Simone Veil sono traslate al Pantheon, a poche ore dall’evanescent­e e salomonica conclusion­e del Consiglio europeo sull’immigrazio­ne. Oggi, nel tempio degli eroi francesi, il presidente Macron ricorderà l’icona dell’emancipazi­one femminile, la vittima della deportazio­ne nazista, lo spirito di resistenza, l’impegno europeista, proprio mentre l’europa in cui la Veil è stata protagonis­ta si mostra timida e incerta di fronte alle tragedie del nostro tempo, avviata a rappresent­are più una somma suicida di egoismi che a crescere nella consapevol­ezza della propria forza e dei propri valori e diritti fondamenta­li. In questa Europa, la Francia di Macron non fa eccezione. Dopo avere illuso molti di essere in controtend­enza, ora sembra più attenta (come spesso le accade nella Storia) alla forma di un ideale (sempre in questi giorni, addirittur­a una legge per abolire la parola razza dalla Costituzio­ne) che alla sostanza di scelte conseguent­i che oltrepassi­no l’interesse nazionale.

Simone Veil ha esaltato il dovere della memoria, ricordando le responsabi­lità della Francia nelle deportazio­ni e continuand­o a spiegare alle nuove generazion­i che l’europa pacifica, moderna, solidale è nata perché certe tragedie non possano più ripetersi. La narrazione attuale, che spande veleno sui social a colpi di slogan semplifica­ti, spinge a chiedersi non perché sia accaduto, ma come potrebbe succedere ancora, se la risposta a problemi immensi non è una paziente costruzion­e di soluzioni possibili e condivise, ma la ricerca del capro espiatorio e del nemico esterno con un occhio complice alle scadenze elettorali. Il Macron di oggi è lo stesso leader che nel 2017, quando la Germania aprì le porte a un milione di profughi siriani, disse che Angela Merkel aveva salvato «la dignità dell’europa». Di quale dignità europea si può parlare oggi al Pantheon? Dice Macron che la «lebbra populista» minaccia l’europa, ma forse è più pericolosa la «lebbra» dell’oblio che, indirettam­ente, ne è la causa.

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