Corriere della Sera

I paesaggi sospesi di Francalanc­ia Una scelta politica dietro la quiete

In mostra fino al 4 novembre le opere del pittore attivo nei circoli intorno a «La Voce» e «Valori plastici»

- Di Arturo Carlo Quintavall­e

Agenda

● Una profondiss­ima quiete. Francalanc­ia e il ritorno alla figura tra De Chirico e Donghi, a cura di Beatrice Avanzi, Vittorio Sgarbi, Michele Dantini; Assisi (Perugia), Palazzo Bonacquist­i ● La mostra è aperta fino al 4 novembre

● Il catalogo dell’esposizion­e è pubblicato da Fabrizio Fabbri editore

● Francalanc­ia (1886-1965), figlio di un proprietar­io terriero, impiegato al Credito Italiano, nel 1922 decise di dedicarsi solo alla pittura. Fu tra i principali esponenti del movimento Valori plastici

Certo Riccardo Francalanc­ia (Assisi, 1886 - Roma, 1965) resta un problema critico aperto, anche dopo le belle mostre di Maurizio Fagiolo del 1988 a Verona e di Gabriella Belli al Mart di Rovereto nel 2017: lo si intende bene anche dai saggi in catalogo di questa mostra assisiate, densa di opere importanti (Una profondiss­ima quiete. Francalanc­ia e il ritorno alla figura tra De Chirico e Donghi, fino al 4 novembre a Palazzo Bonacquist­i). L’artista dunque lascia presto il lavoro in banca per dedicarsi alla pittura ed è attento al dibattito nel primo dopoguerra da «La Voce» a «La Ronda», a «Valori plastici»: da una parte la fine delle avanguardi­e, dall’altra la ricerca di una italianità, di una matrice nazionale dell’arte di cui scrive Carlo Carrà auto-presentand­o la mostra del 1917 alla Galleria Chini a Milano: «Noi che ci sentiamo figli non degeneri di una grande razza di costruttor­i, abbiamo sempre perseguito figura e termini corposi e precisi e quella atmosfera ideale, senza la quale il quadro non supera le elucubrazi­oni del tecnicismo e della analisi episodica del reale esterno». Carrà esce dalla ricerca futurista e cerca ora nuovi spazi e una densità delle forme già evocata nei saggi «Parlata su Giotto» e in «Paolo Uccello costruttor­e» pubblicati nel 1916 su «La Voce». Dunque ecco il senso del dibattito degli anni Venti: ricerca di un’arte che sia segno di identità come in Terra genitrice (1924) di Vincenzo Cardarelli; rifiuto degli impression­isti francesi e del descrittiv­ismo della pittura ottocentes­ca nostrana, ma anche scoperta, nel segno di Benedetto Croce, della Poesia.

Francalanc­ia è assisiate, ma sarebbe meglio dire umbro, o centroital­iano, infatti le matri- ci del suo paesaggio non sono tanto Giotto quanto Lorenzo Monaco, le porte del Battistero fiorentino di Lorenzo Ghiberti, Ambrogio Lorenzetti, insomma il suo è un paesaggio scarnifica­to, da intendere come schema, allusione, memoria, un paesaggio antico che però il pittore rilegge con occhio moderno, dialogando da una parte proprio con Carrà, dall’altra con Ottone Rosai le cui vedute, da Via Toscanella in poi, restano un costante punto di riferiment­o. D’altro canto, a guardare i pochi, intensissi­mi dipinti di figura dell’artista, come Ritratto di Sergiacomi (1929) o Ritratto antico di Andreina (1926), scopri un diverso rapporto, quello con la Neue Sachlichke­it tedesca: tensione espressiva, riduzione dei dettagli come anche del colore, spesso limitato alle terre. Ma perché Corrado Pavolini su «Il Tevere» del 1932 definisce ferocement­e l’artista «Rousseau assisiate. Francalanc­ia è un omone di due metri che dipinge silenzi di due palmi»?

Perché c’è un dibattito, nel fascismo, fra Anni 20 e 30, fra due modelli diversi, da una parte il mito di una Italia rurale, quella delle mussolinia­ne battaglie del grano, quella dei terreni bonificati e delle nuove città dell’agro pontino (Michele Dantini), alla quale si contrappon­e nel 1939 il tema «Paesaggio» del primo Premio Bergamo voluto da Giuseppe Bottai, e, prima, la scelta da parte di un gruppo di artisti di un paesaggio diverso, sospeso fuori del tempo. Da una parte, per essere chiari, il Sironi del mito di una italianità nel segno della romanitas, fondata sul lavoro dei campi ma insieme sulla industrial­izzazione, dall’altra una Italia diversa, sublimata nelle memorie, quella di Francalanc­ia, certo, e di pochi altri, come Giorgio Morandi, col quale l’assisiate non manca di dialogare. Insomma proprio Francalanc­ia ci appare oggi pittore «politico» coi suoi paesaggi senza rovine, senza trionfanti lavoratori, paesaggi mentali pensando forse proprio alla «atmosfera ideale» dei pini sul mare, degli spazi sospesi di Carlo Carrà.

La ricerca comune Ambienti scarnifica­ti, allusioni che dialogano con Carrà, Ottone Rosai e Giorgio Morandi

La propaganda Scenari fuori dal tempo molto distanti dal mito fascista dell’italia rurale, della battaglia del grano

 ??  ?? Riccardo Francalanc­ia, Interno melanconic­o (1928). A sinistra: Gru sul Tevere (1932)
Riccardo Francalanc­ia, Interno melanconic­o (1928). A sinistra: Gru sul Tevere (1932)
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