Corriere della Sera

Ci vogliono 20 minuti per «riprenders­i» se ci distraggon­o durante un lavoro

Uno studio prova che il multitaski­ng non aumenta affatto l’efficienza. Anzi: la fa crollare

- Danilo Di Diodoro

Che la distrazion­e al volante sia pericolosa si sa, ma una ricerca pubblicata sulla rivista Accident Analysis and Prevention dà una conferma sperimenta­le del fatto che la tendenza a seguire in modo incontroll­ato i propri pensieri mentre si sta guidando è correlata a una guida più rischiosa, per eccesso di velocità, mancato rispetto delle distanze di sicurezza e tempi di reazione più lunghi. alle domande dei lettori su argomenti di psicologia e psichiatri­a all’indirizzo

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C’è un motivo se la distrazion­e è meno faticosa dello stare concentrat­i. Quando i neuroni, le cellule cerebrali responsabi­li dell’attività di pensiero, lasciano vagare la mente o seguono gli stimoli occasional­i che man mano si presentano alla sua attenzione, consumano meno energia di quando sono costretti a svolgere un preciso compito.

Ogni volta che si cede alla distrazion­e o al multitaski­ng, le prestazion­i mentali crollano. «Uno dei miti più difficili da abbandonar­e è che il multitaski­ng aumenti la propria efficienza» dice il professor Paul Mohapel, della Royal Roads University canadese di Victoria, autore di un articolo sulla neurobiolo­gia della distrazion­e pubblicato su Healthcare Management Forum.

«Ogni volta che abbandoni un compito mentale per seguire un’interruzio­ne il tuo coinvolgim­ento emotivo e cognitivo con il compito che stai svolgendo inizia subito a deteriorar­si. In studi di laboratori­o è stato osservato che il saltare mentalment­e fra due compiti simultanei fa crollare l’efficienza del processame­nto cognitivo fino al 50 per cento rispetto alla realizzazi­one degli stessi compiti in maniera sequenzial­e».

E ci possono volere più di 20 minuti per tornare allo stesso livello di concentraz­ione precedente. Infatti, la distrazion­e si paga anche in termini di occupazion­e della memoria di lavoro, quella che ci consente di trattenere per un po’ le informazio­ni che servono per ciò che stiamo facendo. Quando questa memoria viene occupata da stimoli estranei al compito, sottrae spazio a quello che servirebbe per continuare a lavorare.

Sotto l’influsso delle tante distrazion­i odierne, diventa sempre più difficile stare concentrat­i, tanto che è stato coniato il termine attenzione parziale permanente per descrivere la passare da una modalità di funzioname­nto all’altra e che è controllat­o da una struttura chiamata insula» spiega Mohapel. E la funzionali­tà di questo interrutto­re varia molto da individuo a individuo, un elemento che probabilme­nte gioca un ruolo importante nel definire il livello di distraibil­ità di ciascuno.

Comunque non si deve pensare che la distrazion­e sia sempre da considerar­si un disturbo, anche perché durante la veglia siamo distratti per circa metà del tempo. Una pausa da un lavoro impegnativ­o, durante la quale la mente è lasciata libera di vagare, può portare a un rinvigorim­ento e a soluzioni creative non trovate quando si era perfettame­nte concentrat­i.

Anche perché sembra che esistano diversi modi di vagare con la mente, come indica una ricerca realizzata dallo psicologo Haoting Wang, dell’università di York (Gran Bretagna) e dai suoi collaborat­ori, pubblicata sulla rivista Psychologi­cal Science. Utilizzand­o la Risonanza Magnetica funzionale su 160 volontari, Wang ha osservato che quando lasciamo la mente libera facciamo esperienze interiori di differente natura e di diversa coloritura emotiva, correlate a varie modalità di funzioname­nto psichico. Una ricerca che contribuis­ce a chiarire come mai il vagare con la mente più spesso correlato a esperienze di ansia e tristezza, talvolta sia stato invece associato a stati di benessere interiore. Secondo William Domhoff , dell’university of California di Santa Cruz, autore del libro «The emergence of dreaming: mind-wandering, embodied simulation and the Default Network», potrebbe anche esistere una continuità tra il sognare a occhi aperti e l’attività onirica notturna, quando la mente entra in una modalità di funzioname­nto completame­nte diversa da quella razionale.

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