Corriere della Sera

COPYRIGHT UN VALORE PER TUTTI

- di Massimo Gaggi

Dopo una campagna lobbistica pesantissi­ma, il Parlamento Europeo ha bocciato la proposta di riforma del diritto d’autore elaborata al suo interno per adattare il copyright alla nuova realtà dell’era di Internet. La mancata approvazio­ne di norme che avrebbero consentito a chi produce contenuti di qualità in vari settori creativi — stampa, musica, cinema, letteratur­a, arti figurative e altro ancora — di essere meglio retribuito quando i risultati del suo lavoro finiscono nelle grandi piattaform­e digitali, è una cattiva notizia per i giornali ai quali i giganti di big tech hanno già tolto molto ossigeno. Ma deve essere chiaro a tutti che in questa disputa c’è in ballo molto di più della tutela dei canali di finanziame­nto di una stampa che, per quanto in crisi, è tuttora ovunque nel mondo, il principale strumento di difesa della democrazia: è in gioco il diritto di difendere il valore del lavoro intellettu­ale svolto in qualunque campo, da protagonis­ti grandi e piccoli. E, soprattutt­o, di non vederlo stravolto da chi, pur di bloccare un provvedime­nto contrario ai suoi interessi, non esita a usare i suoi potenti megafoni per diffondere slogan fuorvianti o falsi.

Gioiscono i semi monopoli digitali della rete — da Facebook a Google — secondo i quali quella di ieri è una vittoria della democrazia. In realtà è solo una vittoria per i loro già gigantesch­i profitti.

C on le nuove norme infatti avrebbero dovuto pagare di più per i contenuti che prelevano dai vari autori e avrebbero dovuto sostenere costi aggiuntivi per istituire un filtro capace di verificare quali testi e immagini immessi nelle loro reti violano il copyright.

E gioiscono i leader populisti che devono alla capacità del web di amplificar­e l’eco dei loro slogan buona parte del successo politico raccolto.

In Italia si sono fatti sentire i due vicepremie­r Salvini e Di Maio. Il primo ha parlato di «bavaglio alla Rete respinto a Strasburgo». Il secondo ha ammonito: «Nessuno si deve permettere di silenziare la Rete e distrugger­e le sue potenziali­tà in termini di libertà di espression­e e sviluppo economico».

Dunque chiedere il giusto compenso per il proprio lavoro intellettu­ale sarebbe un bavaglio, un silenziato­re? E negarlo non è un regalo ai giganti del web? Aziende che con un’abile campagna lobbistica hanno trasformat­o un compenso (l’esito di una transazion­e tra due soggetti privati) in una tassa: la norma

bocciata ieri era stata infatti bollata come un’imposta sui link. Da parte di giganti di big tech che, quando parlano di tasse, dovrebbero arrossire e cambiare discorso.

La discussion­e verrà ripresa a settembre, quando sarà presentato un nuovo testo. È possibile che qualche correzione sia opportuna se, come sostengono alcuni, il filtro previsto dal testo bocciato ieri comporta adempiment­i che possono essere semplifica­ti. Ma è necessario che tutti si rimettano attorno al tavolo con uno spirito diverso: i giganti tecnologic­i che ci hanno dato tanti strumenti importanti e positivi, ma che da un anno a questa parte fanno anche mea culpa per interferen­ze e stravolgim­enti della vita politica e sociale dei quali si sono resi involontar­iamente responsabi­li, ammettono (come nel caso del fondatore di Twitter, Evan Williams) di aver usato con leggerezza il loro enorme potere per promuovere soluzioni sbagliate. Ma poi continuano a usare la loro forza lobbistica come uno schiaccias­assi.

Pensano che nell’era di Internet il copyright abbia perso gran parte del suo valore. Poi, però, scatenano battaglie giudiziari­e quando ritengono che un loro ingegnere se ne sia andato portandosi via illegittim­amente soluzioni industrial­i sulle quali ha lavorato, come avvenuto nella recente disputa Google-uber sulle tecnologie per l’auto robot. O come avvenuto in passato nelle battaglie legali tra Apple e Samsung.

È, però, necessario un atteggiame­nto più responsabi­le anche da parte delle forze politiche: ci stiamo abituando a dosi massicce di verve polemica, con l’esaltazion­e della disinterme­diazione dell’informazio­ne, da parte del leader che parla direttamen­te al suo popolo, felice di prendersel­a coi «giornaloni ufficiali». Ma, proprio perché si parla senza mediazioni, prima di definire un adeguament­o delle regole per il pagamento degli autori un tentativo di «imbavaglia­re noi e soprattutt­o voi», bisognereb­be riflettere sulle conseguenz­e potenziali. Per tutti. E per la democrazia.

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