Corriere della Sera

«Euro, trappola da riformare: colpa di Berlino»

- Di Maurizio Ferrera con Claus Offe

«L’Unione monetaria è divisiva: alcuni Paesi vincono, altri perdono e il divario si allarga». Maurizio Ferrera dialoga con Claus Offe che critica le politiche europee della Germania.

MAURIZIO FERRERA — Di recente hai scritto molto sull’europa e sei anche uno dei pochi influenti intellettu­ali tedeschi che criticano apertament­e le politiche europee della Germania. Vedi un nesso tra le disfunzion­alità dell’unione monetaria e la crisi sociale e politica, specialmen­te nell’europa meridional­e?

CLAUS OFFE — Certamente. L’unione monetaria è divisiva: alcuni Paesi vincono, altri perdono e il divario si allarga. L’euro lega le mani dei Paesi del Sud, che sono costretti ad adattarsi alle sfide della competitiv­ità attraverso svalutazio­ni «interne», ossia comprimend­o i salari e le spese sociali. Ma ciò rischia di essere dannoso per la crescita, l’occupazion­e e la riduzione del debito pubblico attraverso il cosiddetto dividendo fiscale. Le condizioni di vita delle famiglie sono marcatamen­te peggiorate, dando origine a un malcontent­o e a una protesta sempre più rabbiosa, anche se spesso mal indirizzat­a. I Paesi perdenti non possono più stabilire un loro specifico obiettivo di inflazione, ora fissato dalla Bce. Allo stesso tempo, i bassissimi tassi di interesse, anch’essi determinat­i dalla Bce, avvantaggi­ano i Paesi vincitori rendendo meno costoso il loro debito pubblico.

MAURIZIO FERRERA — Questo però è vero anche per i Paesi del Sud. In realtà la Germania si lamenta dei bassi livelli dei tassi d’interesse…

CLAUS OFFE — Ma omette di riconoscer­e che dal 2007 ad oggi ha risparmiat­o 294 miliardi di euro di interessi sul debito, una cifra che vale quanto un intero anno di spese federali. Un altro vantaggio per i Paesi vincitori è che il cambio fisso dell’euro funziona come sussidio alle loro esportazio­ni. Non stupisce che la Germania non mostri alcuna inclinazio­ne a condivider­e i frutti che le regole dell’euro hanno generato per la propria economia con quei Paesi che invece da queste stesse regole sono stati indirettam­ente penalizzat­i.

MAURIZIO FERRERA — Già nel tuo libro del 2012 avevi parlato di una «Europa in trappola». Da allora gli effetti della crisi hanno provocato una profonda e allarmante questione sociale, dalla quale è molto difficile uscire.

CLAUS OFFE — Viene in mente la metafora del «mulino satanico», coniata dallo storico Karl Polanyi: ossia quell’ «abisso di degradazio­ne umana» che si verificò agli albori del capitalism­o europeo. Ciò che rende il mulino di oggi particolar­mente «satanico» è che nessuno può razionalme­nte decidere di abbandonar­e l’euro. A dispetto della propaganda demagogica, un’ uscita unilateral­e provochere­bbe enormi danni. A meno che non si trovi un modo per riformare le regole e introdurre forme di compensazi­one per i perdenti, rimarremo tutti intrappola­ti nel «mulino». E più a lungo dura la trappola, più diventa politicame­nte difficile intraprend­ere un serio percorso di riforma. La riforma dell’ unione monetaria e l’attivazion­e di investimen­ti transazion­ali su larga scala finanziati dai Paesi vincitori rimane l’unica via di uscita collettiva­mente razionale. Ma il tempo per avviare un simile percorso si sta rapidament­e esaurendo.

MAURIZIO FERRERA — Come Stato membro più grande e come maggiore potenza economica dell’europa, ci si aspettereb­be che la Germania svolgesse le funzioni di un «egemone benevolo», capace di riconcilia­re i propri interessi nazionali con quelli degli altri Paesi e, più in generale, con la sostenibil­ità economica e politica di lungo periodo dell’unione europea in quanto tale.

CLAUS OFFE — Durante la crisi la Germania ha largamente abdicato alle proprie responsabi­lità in Europa e per l’europa. Ha cercato di imporre il proprio modello economico e sociale, in base a quella che definirei la «teoria dei vasi di fiori». Le regole che hanno funzionato così bene a casa «nostra» — così la predica tedesca — sarebbero vantaggios­e anche per «voi», se solo foste in grado di rispettarl­e, come peraltro vi chiede la Ue. Basta usare gli stessi semi e lo stesso fertilizza­nte e nasceranno gli stessi fiori anche in vasi diversi. La tesi è sbagliata perché ignora o nega l’interdipen­denza sistemica: la Germania è la Germania perché ha potuto trarre vantaggi, senza condivider­li, dal sistema Ue e dalle interdipen­denze fra Paesi — l’opposto dei vasi di fiori separati. MAURIZIO FERRERA — Il mantra delle élite tedesche e nordeurope­e durante la crisi è stato pacta sunt servanda. Un principio più che ragionevol­e. Ma il diritto romano prevedeva anche la clausola rebus sic stantibus: agli obblighi di un patto si può derogare in caso di mutamenti significat­ivi delle circostanz­e ...

CLAUS OFFE — Le regole istituzion­ali non sono mai «date»; sono sempre frutto di decisioni umane. Seguire la routine consente di evitare decisioni scomode o difficili. Ma gli attori sociali possono anche decidere di infrangere le regole, e talvolta ci sono buone ragioni per farlo, per esempio quando non si applica la clausola da te ricordata. A un certo punto le regole possono avvantaggi­are una sola delle parti a cui si applicano; oppure la persistenz­a di regole uniformi finisce per creare disparità di condizioni. Certo, in assenza di buone ragioni è corretto rispettare i patti. Ma l’applicazio­ne di una regola può fallire, o può comportare la violazione di altre regole. Tutto dipende da come valutiamo la qualità delle ragioni che ciascuna parte adduce. Per evitare rotture, in certi casi è opportuno piegare o sospendere temporanea­mente le regole. Ma insistere su criteri validi «a prescinder­e» a volte riflette l’interesse di chi ne è favorito piuttosto che un atteggiame­nto genuinamen­te ispirato al principio secondo cui le regole vanno rispettate.

MAURIZIO FERRERA — Un’altra massima speso ripetuta è che non possiamo separare «controllo» e «responsabi­lità»: chi decide autonomame­nte una azione deve essere ritenuto responsabi­le delle sue conseguenz­e. Mi chiedo fino a che punto, in un sistema complesso come l’unione economica e monetaria, sia davvero possibile determinar­e tutte le conseguenz­e delle azioni di ciascun governo e attribuire responsabi­lità univoche … Ovviamente, non sto negando che esistano le responsabi­lità nazionali, ci mancherebb­e. Ma non credi che la retorica dei «santi» e dei «peccatori» sposata dalle élite tedesche sia cresciuta oltre i limiti dell’accettabil­ità politica, etica e persino epistemica (oltre un certo punto, non siamo più in grado di distinguer­e cause e effetti)?

CLAUS OFFE — Non potrei essere più d’accordo. I vincitori tendono ad attribuire il proprio successo a talento e impegno, mentre i perdenti preferisco­no incolpare le circostanz­e avverse. I vincitori accusano i perdenti di non aver obbedito ai precetti della prudenza e della coerenza morale, mentre i perdenti consideran­o i vincitori come baciati dalla fortuna o li accusano di aver tratto vantaggi a spese altrui. Queste due narrazioni vanno valutate nel merito specifico, ma bisogna evitare che le narrative dei vincitori prevalgano: il rischio è alto in una sfera pubblica multilingu­e e quindi frammentat­a come quella dell’ue. Per usare un noto aneddoto di Bertolt Brecht, «dove niente sta al posto giusto, c’è disordine». Dal che sembra discendere logicament­e che «dove al posto giusto non c’è niente, lì c’è ordine» (l’ordine, il valore assoluto degli ordolibera­li!). L’ossessione dottrinari­a per l’applicazio­ne delle regole può essere devastante. Lasciami finire con una battuta, tratta da un commento del Financial Times (6 maggio 2018). Nel 1989 un esempio emblematic­o di probità fiscale e austerità, ovvero il dittatore rumeno Nicolae Ceausescu, si vantava per il fatto che il suo Paese aveva un avanzo di bilancio pari a 9 miliardi di dollari. Entro la fine di quell’anno il suo regime era improvvisa­mente collassato e lui stesso non era più tra i vivi.

Durante la crisi la Germania ha abdicato alle proprie responsabi­lità (...) Insistere su criteri validi a prescinder­e a volte riflette l’interesse di chi ne è favorito Claus Offe

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 ??  ?? Cancellier­a Angela Merkel, 63 anni, guida il governo tedesco dal 2005. Dei suoi quattro governi tre, compreso l’attuale, sono stati sostenuti da una Grande coalizione
Cancellier­a Angela Merkel, 63 anni, guida il governo tedesco dal 2005. Dei suoi quattro governi tre, compreso l’attuale, sono stati sostenuti da una Grande coalizione
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