Trimestre da record per il private equity in Italia
Testimonia che il marchio Italia è appetito. Conferma l’interesse degli investitori, in gran parte esteri. Suggerisce una radicale trasformazione nella governance delle aziende italiane, la gran parte a conduzione familiare. Storicamente refrattarie all’ingresso dei fondi di private equity nel capitale per il timore di perdere il controllo decidendo liberamente le strategie da perseguire. Il primo trimestre del 2018 fa segnare un inatteso record per il private equity italiano, segnala un rapporto pubblicato dallo studio legale Gatti Pavesi Bianchi redatto con la società Unquote. Siamo di fronte al più alto numero di offerte mai registrato, di cui sette oltre i 100 milioni e 4,7 miliardi di euro di valore totale, al netto dell’operazione del fondo Cvc che ha comprato Recordati. Dice Carlo Pavesi che «il private equity mette a disposizione capitali e competenze per la crescita delle aziende, agendo da acceleratore di modernizzazione». A leggere il dato in filigrana la sensazione è che i dieci anni di crisi economica abbiano prodotto un cambiamento profondo nel tessuto produttivo del Paese, polarizzandolo. Da un lato le imprese estromesse dal mercato. Dall’altro quel 20% di realtà in grado di generare l’80% del nostro export. C’è un altro 20% che ambisce ad essere competitivo all’estero. Per capire basta seguire l’interesse dei fondi.