Corriere della Sera

«Ispirato dai demoni? No, io indago il corpo»

Cronenberg: un onore ricevere il Leone d’oro alla carriera

- Valerio Cappelli

Il profilo

● David Cronenberg (Toronto, 15 marzo 1943), regista e sceneggiat­ore, si è fatto conoscere nel 1975 con «Il demone sotto la pelle». È autore di film di culto come «La mosca» con Jeff Goldblum (nella foto), ● Tra le sue opere più recenti, «A Dangerous Method», presentato nel 2011 al Festival di Venezia (che quest’anno lo premierà col Leone d’oro alla carriera), «Cosmopolis» e «Maps to the stars» «L e deformità grottesche e gli allucinant­i accoppiame­nti, le mutazioni indotte nei corpi dalla scienza e dalla tecnologia». Sono tra le motivazion­i per cui David Cronenberg alla Mostra di Venezia (su proposta del direttore Alberto Barbera al cda presieduto da Paolo Baratta) riceverà il Leone d’oro alla carriera. Il regista canadese è disponibil­e, sereno, così lontano dalle «angosce» dei suoi film. La paura, la malattia, il conflitto tra lo spirito e la carne, sono i demoni le sue fonti d’ispirazion­e.

Perché?

«Non sono sicuro che l’analisi di questi tre temi possa spiegare adeguatame­nte il mio processo creativo. È un’osservazio­ne che nasce da chi conosce i miei film, lo capisco. Ma per me fare film è un’altra cosa, è un’esplorazio­ne di carattere filosofico. Sono influenzat­o dalle cose che leggo e che vedo. Il corpo rappresent­a l’esistenza umana. È facile dimenticar­lo, perché abbiamo un intelletto e uno spirito. Ma noi siamo il corpo che abbiamo, ed è l’oggetto principale di un regista. La malattia, la morte, la mutazione sono aspetti naturali, non demoni».

Che ricordi ha del Festival di Venezia?

«L’unico mio film in gara è stato A Dangerous Method. Non vinsi nulla, ma fui bene accolto da critica e pubblico. Venezia è fantastica, è come una fantasia, soprattutt­o per chi ci arriva per la prima volta. La Mostra ha una lunga storia, grandi registi hanno avuto il Leone d’oro alla carriera ed è davvero speciale far parte di questo gruppo. Lo considero un grande onore».

Lei dice che si fa un film per avere esperienza di qualcosa che sfugge alla tua vita, che forse ti intriga e disturba...

«La ragione per cui si amano le storie al cinema è proprio questa, dà la possibilit­à di vivere altre vite, identifica­ndosi, incarnando­si in un personaggi­o diverso da noi. Per esempio,il mio film La promessa dell’assassino permette di vivere la vita di un gangster russo».

Ha parlato di Bambi come di un mostro.

«Forse dissi che Bambi fu la mia prima consapevol­ezza di paura e tristezza. La separazion­e di Bambi da sua madre è un’immagine terribile per un bambino, e l’idea che tua madre possa essere uccisa è uno shock. I bambini non comprendon­o la complessit­à della vita umana ma sono molto sensibili agli aspetti più elementari della vita, e alle relazioni familiari. Il film che da adulto mi ha trasmesso più paura è A Venezia un Il regista canadese David Cronenberg (75 anni), pioniere del body horror

dicembre rosso shocking di Nicolas Roeg, ambientato nella città che ora mi premia! Quello è davvero un film spaventoso».

Che ruolo ha avuto nella sua formazione la comunità

italiana che viveva accanto a casa vostra a Toronto?

«Vivevo in una zona abitata da ebrei che stava diventando italiana, siciliana in particolar­e. I vostri immigrati erano aperti, gentili, facevano cose insolite ai nostri occhi, come unire i loro giardini sul retro per creare un unico grande orto accessibil­e a tutte le famiglie. Cosa strana per noi, che avevamo solo fiori in giardino. Ora quella parte di Toronto la chiamano Little Italy. Ci vado spesso.dean Martin, che all’anagrafe si chiamava Crocetti, fu una delle mie prime influenze».

E il cinema che la ispira?

«Fellini è il numero 1: il ritmo, la bellezza, il suo sguardo sulla sessualità. Quando uscivo da un suo fim credevo di essere in grado di parlare italiano. E poi il formalismo di Antonioni, o Bergman e Kurosawa. Quando ho cominciato a scrivere, l’ispirazion­e era legata ai romanzi, più che ai film. Ho sempre pensato di diventare uno scrittore, più che un regista».

«Maps to the Stars» è la sua visione di Hollywood?

«È stato scritto da Bruce Wagner, la rabbia di quel film è la sua. Io mi sento bene a Hollywood, forse perché non è la mia vita, rimango qualche giorno e poi riparto».

Quando ha cominciato a catturare farfalle e a classifica­re insetti, rane, serpenti?

«Non la trovo un’abitudine insolita, è piuttosto comune per un ragazzo. Nei dintorni di Toronto è come essere in campagna, ci andavo per entrare in contatto con la natura, non solo serpenti e rane. Ero affascinat­o dagli insetti. Siamo affascinat­i da alieni di altri pianeti, ma io trovo che le creature più strane che si possano incontrare, soprattutt­o gli insetti, siano in Terra».

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La ragione per cui si amano le storie al cinema è perché ci danno la possibilit­à di vivere altre vite, identifica­ndoci, incarnando­ci in un personaggi­o diverso da noi

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Fotografo
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«Inseparabi­li», «Il pasto nudo», «Crash»

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