Corriere della Sera

Addio al regista Lanzmann Raccontò la «Shoah» in 9 ore

- Di Paolo Mereghetti

Con Claude Lanzmann (foto), morto ieri a Parigi a 92 anni, scompare uno dei grandi protagonis­ti della vita culturale francese, non solo cinematogr­afica (cui diede il capolavoro Shoah) ma anche intellettu­ale, amico fraterno di Jean-paul Sartre, compagno per sette anni di Simone de Beauvoir e con loro, dal 1952, nel comitato di redazione di Les Temps Modernes, diventando­ne direttore dall’86. Ebreo per nascita, gauchiste per scelta (firmò il «Manifesto dei 121» contro la politica coloniale francese), dopo aver insegnato nel primo dopoguerra in Germania e poi aver fatto il giornalist­a in Francia, si avvicinò al cinema negli anni Settanta scegliendo il documentar­io (e l’intervista) come genere privilegia­to. Dopo Pourquoi Israël (1972) per sette anni raccoglie le testimonia­nze di sopravviss­uti ai lager e interviste ai tecnici tedeschi che resero possibile l’eccidio dal punto di vista pratico (come i macchinist­i dei treni per Treblinka), senza una parola di commento o far ricorso a materiale documentar­io: il risultato sono le nove ore di Shoah (1985), un’opera monumental­e che riesce a raccontare «l’indicibile e la radicalità della morte» evitando ogni retorica. Coi film successivi Lanzmann approfondi­sce il tema di Israele e dello sterminio degli ebrei (Tsahal, 1994, Sobibor - 14 ottobre 1943, ore 16.00, 2001), senza preoccupar­si se il suo lavoro può sollevare polemiche, come ha fatto con L’ultimo degli ingiusti (2013) sul rabbino Murmelstei­n, sopravviss­uto al campo di Theresiens­tadt o con il recente film sulla Corea del Nord, Napalm (2017).

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