Aspesi senza Aspesi
Il marchio fondato da Alberto ha intrapreso una strada nuova «Accendere le luci sul brand» è la strategia dell’ad Fabio Gnocchi
Non è indispensabile essere milanesi per capire perché Aspesi è un marchio molto speciale, però aiuta. Aiuta perché sono davvero pochissimi i marchi che milanesissimamente sono riusciti a diventare globali pur restando in qualche modo di nicchia, che hanno milanesissimamente ignorato le tendenze attraverso mezzo secolo di moda continuando a raccontare la propria storia. Una storia nata nel 1969 per volontà del fondatore Alberto Aspesi, che cominciò con le camicie per capire rapidamente che c’era spazio per un marchio di quelli che oggi si definiscono basic e una volta si chiamano normalmente vestiti, vestiti di qualità altissima nei tessuti, vestiti senza logo, vestiti per chi non vuole apparire ma essere elegante. Un gioco complicato, che Alberto Aspesi refrattario alle interviste — almeno on the record — per cinquant’anni ha giocato con tranquillità, poco preoccupato di crescere nel fatturato ma preoccupatissimo dei valori artigianali della sua azienda, emanazione del suo gusto.
Perché oggi, nel 2018, è normale che le multinazionali si affidino a artisti e non a fotografi di moda; lo era molto meno 35 anni fa, quando il signor Aspesi chiamò Robert Frank, un artista che amava e che è diventato suo amico (lo va a trovare regolarmente a New York, in Canada, in giro per il mondo quando fa una mostra), a fotografare le sue collezioni. O quando pochi anni dopo incaricò Dirk Van Dooren di creare una campagna basata sui collage di Polaroid a colori che oggi sembrano Instagram (Instagram con più di vent’anni di anticipo) e i colorati kinky atoms grafici che sembrano prove generali degli emoji che poi avrebbero affollato i nostri smartphone.
Essere «avanti» realizzando capi senza data — si indossa tranquillamente oggi un Aspesi del 1987, del 1997, del 2007 o del 2017 per esplicita volontà del fondatore — è molto Milanese, un’estetica forte nella sua linearità. Figlia di un gusto: che è quello del fondatore ma che, adesso che l’azienda è passata di mano (a un fondo) e c’è un nuovo ad, Fabio Gnocchi (ex chief commercial officer di Brunello Cucinelli, ex Etro) resta come segno inconfondibile.
Gnocchi sa che non si può cambiare l’estetica di Aspesi ma si può aggiornarne la struttura: con l’introduzione dell’e-commerce, di un nuovo negozio milanese ora in lavorazione (prenderà il posto di quello storico di Montenapoleone con le installazioni di Paladino), di presentazioni più regolari nel calendario delle fashion week (prima c’era un approccio molto più casual: al fondatore interessavano più i tessuti e la ricerca prodotto). Gnocchi conosce bene il marchio — lo indossava fin da ragazzo — e conosce bene il fondatore che ha approvato la sua nomina prima dell’uscita dall’azienda a fine giugno. Nessuno meglio di lui sa che «l’innovazione digitale è fondamentale ormai», che il mercato si ringiovanisce sempre più (la caccia aperta ai mitici millennials) ma sa anche che «lo stile milanese è stato copiato da tanti marchi che l’hanno preso come riferimento, tutti noi che siamo cresciuti indossando capi Aspesi l’abbiamo visto succedere, ma abbiamo anche visto che alle nuove generazioni i valori di Aspesi non sono stati comunicati nel modo giusto». Il margine di crescita dell’azienda è notevolissimo, come notevolissima è la potenzialità di diffusione nei department store del lusso globale, dagli Usa all’asia (Aspesi è già fortissimo in Giappone).
Buttare via un’eredità (anche culturale: oltre a Frank e van Dooren hanno collaborato con Aspesi Peter Lindbergh, Paolo Roversi) preziosissima non è assolutamente nei piani di Gnocchi, che vuole ampliarla, che ha richiamato Roversi e che valuta il modo migliore per raccontare nuovamente ai ragazzi che non le hanno viste trent’anni fa quelle immagini di Frank che paiono scattate ieri. Gnocchi definisce «accendere le luci» sul marchio questa strategia. Sa benissimo che la vecchia immagine di Stella Tennant quasi senza trucco foto-
Comunicare i valori
Lo stile milanese è stato copiato da tanti marchi che l’hanno preso come riferimento, ma alle nuove generazioni i valori di Aspesi non sono stati comunicati nel modo giusto
grafata su una Polaroid in bianco e nero con una camicia maschile aperta riassume un’estetica e anche un ethos. Che può sopravvivere anche all’uscita del fondatore «perché Aspesi è Aspesi — è cosi speciale — proprio perché è diverso». Gnocchi vuole cambiare il modo di raccontarlo al pubblico. Senza dimenticare che nella sede di Legnano c’è una moka male in arnese che fa tuttora un caffé buonissimo. L’ha comprata nel 1969 il fondatore, che non si è mai rassegnato all’avvento delle macchinette con le capsule di plastica. Se Aspesi, al netto della necessaria modernizzazione e razionalizzazione di tante strategie e strutture, ricorderà che il caffé di quella moka scassata è così buono, non avrà problemi a entrare nel futuro.