NEL CIELO MERAVIGLIOSO DI ARIDJIS
Il diario del poeta-narratore
Costretto a letto per molto tempo a causa della tubercolosi ossea, il dodicenne Alberto Moravia si dedica alla lettura (Dostoevskij e Proust, soprattutto). Da qui, lo stimolo per cimentarsi con la pagina scritta. Così, a 18 anni, comincia a scrivere Gli indifferenti, pubblicato quattro anni dopo. Colpito dal fratello, con un colpo del fucile da caccia esploso accidentalmente — che lo fa restare a lungo fra la vita e la morte — Homero Aridjis, 10 anni, durante la convalescenza legge i libri che gli porta il padre (uno al giorno). Verne, Salgari e il córso anarchico e anticlericale Michel Zevaco lo spingono a stendere i primi versi («Un momento mi partì un colpo di fucile nel ventre/ e la poesia entrò nella mia vita», spiegherà in Un momento).
Dalla poesia alla prosa. E per cominciare, ad Aridjis basta rievocare (La montagna delle farfalle) le vicende della propria famiglia: il conflitto greco-turco che vede il padre lasciare l’europa per fuggire in Messico, dove lo scrittore nasce nel 1940, a Contepec, nello stato di Michoacán de Ocampo. Alla poesia e alla narrativa, seguono testi di teatro, di saggistica, di letteratura infantile. Una cinquantina di libri.
Il lettore italiano che volesse saperne di più legga I tempi dell’apocalisse di Giuseppe Bellini (2013), dedicato allo scrittore messicano, del quale sono usciti Vita e tempi di Juan Cabezón di Castiglia (Garzanti, 1992), A chi pensi quando fai l’amore? (Bompiani,1999) e Diario dei sogni (Ladolfi, 2013).
Ed ecco, adesso, Del cielo e le sue meraviglie, della terra e le sue miserie (Passigli, pp. 321, € 28), curato da Valerio Nardoni, presentato qualche giorno addietro a Milano, alla Feltrinelli di via Manzoni, a cura di Patrizia Spinato (Cnr-isem lombardo). Una sorta di diario autobiografico in versi. Diario di viaggio, diario di sogni dove riemergono i miti della Grecia paterna («Sul suo cavallo di creta,/ l’alba lo vide partire/ dalle montagne di Troodos./ Il cavaliere di nero e di porpora/ si diresse al santuario della dea Paphia,/ chiamata anche Afrodite […]/ Quattro nuvole bianche si distesero/ sulle colline aride di Kouklias/ come sopra seni incipienti [… ] La sacerdotessa del culto di Afrodite,/ come in un sogno erotico, condusse/ l’amante all’ade tirandolo per i genitali», La roccia nera dell’amore profondo) che creano una sorta di ponte con la rivoluzione del Messico materno.
Raccontini brevi, sintetici; leggende tradotte in ballate di un autore coltissimo — che talvolta richiamano l’atmosfera di Poeta a New York di Federico García Lorca — che mostrano una precisa vocazione al racconto. Del cielo e le sue meraviglie è un libro molto composito: «Una vera e propria summa della sua scrittura — l’ha definito Yves Bonnefoy — dove tutti gli elementi paiono confluire in un grande affresco universale».
Aridjis fa parte di quella schiera di narratori e poeti — diplomatici di professione — in cui spiccano il connazionale Octavio Paz, il francese Paul Claudel, il cileno Pablo Neruda, gli italiani Roberto Ducci e Silvio Mignano.
Nel novembre del 2010 c’eravamo visti alla Rockefeller Foundation di Bellagio, dove Homero era ospite per una «residenza». Durante una serata, aveva proiettato il documentario La santa morte (titolo anche di un suo libro). Regista, la figlia Eva. Circa due ore interminabili sulle origini del culto messicano. «Alla fine della proiezione, certamente la maggioranza degli spettatori avevano pensato di ucciderlo, ma la buona educazione li aveva trattenuti» avrebbe sicuramente scritto un autore surrealista. ● L’autrice è diventata un caso internazionale e ha già tagliato diversi traguardi: ha vinto nella categoria esordienti del British Book Awards e ha conquistato il primo posto della classifica dei tascabili del «New York Times». A un anno dalla pubblicazione, sono 40 i Paesi in cui il romanzo è stato venduto e i diritti sono stati acquistati anche per un film