Quell’argine necessario
Era prevedibile che prima o poi sarebbe stato necessario un argine al protagonismo del ministro dell’interno. E ormai si capiva che l’unica istituzione in grado di additare le incognite di una strategia dall’esito imprevedibile era il Quirinale. Così, è bastato un contatto informale tra il capo dello Stato, Sergio Mattarella, e il premier Giuseppe Conte, per informarsi sulla nave della nostra Guardia costiera bloccata da Matteo Salvini nel porto di Trapani con 67 migranti a bordo, per segnalare l’esigenza di una svolta.
La decisione di Palazzo Chigi di far finalmente sbarcare quei disperati, e in parallelo quella della Procura di non procedere a arresti come chiedeva Salvini, non è probabilmente un modo per smentire il titolare del Viminale: nonostante lo «stupore» ostentato dal ministero dell’interno nella serata di ieri.
Per paradosso, è una via d’uscita offerta non solo all’italia ma allo stesso Salvini, rispetto a una strategia che stava portando il governo e il Paese in un vicolo cieco: magari elettoralmente pagante a breve termine, ma dalle implicazioni interne e internazionali preoccupanti.
Ora la Lega potrà sostenere di avere provato a imporre la tolleranza zero, e di essere stata ostacolata. Non è esattamente così, ma potrà mostrare un buon alibi quando si avrà conferma che l’immigrazione è un fenomeno strutturale che può essere governato, non rimosso; né tanto meno cancellato. Sarebbe peraltro azzardato, per non dire di peggio, costruire su questo episodio un conflitto istituzionale del Viminale nei confronti del Quirinale. Non è solo una contraddizione in termini. Il conflitto istituzionale è quello che stava prendendo pericolosamente corpo negli ultimi giorni tra Salvini e altri colleghi di governo.
Usando la leva della lotta giusta e «popolare» all’immigrazione clandestina, si stava affermando la tendenza a superare qualunque barriera tra ministeri, competenze, poteri. E dunque rischiava di crearsi un controverso precedente: al di là dei consensi o meno alla linea dura nei confronti dei barconi che attraversano il mar Mediterraneo. Le frizioni con il ministro grillino Danilo Toninelli, oscillante tra resistenza e subalternità alla Lega, e i contrasti aperti con la titolare della Difesa, Elisabetta Trenta, stavano diventando un’incognita per la stabilità.
Quanto alla minaccia salviniana di arrestare alcuni migranti accusati di avere minacciato pesantemente l’equipaggio del rimorchiatore che li aveva salvati all’inizio, rispondeva a una reazione magari comprensibile d’istinto; ma che metteva in mora le prerogative della magistratura, prefigurando un ulteriore sconfinamento. Il «sì» allo sbarco deciso ieri sera da Conte non esaspera, dunque, le tensioni ma punta a scioglierle, richiamando ciascuno a muoversi nei propri ambiti: Salvini e con lui anche i suoi colleghi di governo. Significa, più che un altolà, il tentativo di ricalibrare una strategia che riscuote consensi in una fetta non piccola dell’opinione pubblica. Eppure divide radicalmente l’italia.
Promette di esporla, al di là delle buone intenzioni, all’isolamento internazionale e comunque da parte degli alleati storici europei. In fondo, da ieri il governo può uscire dall’ebbrezza del potere conquistato il 4 marzo. E vedere come trovare un equilibrio più stabile, che lo faccia durare e non deflagrare tra protagonismi contrapposti e annunci venati da un eccesso di demagogia.