Corriere della Sera

L’india decide sul bando al sesso gay (che avevano imposto i britannici)

La Corte suprema valuta l’abolizione dell’articolo 377 del codice penale

- di Paolo Salom

Amare, in qualunque forma si esprima questo sentimento, non può mai essere un’«aberrazion­e». Scontato? Non in India dove il codice penale, nella famigerata «Sezione 377», punisce ancora gli «atti sessuali contro natura» — intendendo principalm­ente l’omosessual­ità — con il carcere fino a dieci anni.

Proprio in questi giorni, tuttavia, cinque giudici della Corte Suprema del Subcontine­nte stanno esaminando la richiesta di alcuni cittadini e deputati che, attraverso i loro avvocati, hanno sottoscrit­to una petizione per l’abolizione definitiva di un articolo di legge introdotto nella seconda metà dell’ottocento, dai britannici, nel codice di procedura coloniale. Fino a oggi, malgrado l’indipenden­za raggiunta nel 1947, la «Sezione 377» è stata sospesa soltanto una volta, dal 2009 al 2013, quando la Corte Suprema di New Delhi l’ha riattivata su richiesta del governo.

L’esecutivo ha finalmente mutato atteggiame­nto, nonostante il «colore» della conservazi­one che si porta dietro il partito di maggioranz­a relativa, il Bjp (Bharatiya Janata Party) del premier Narendra Modi. «Per quanto riguarda la validità costituzio­nale della Sezione 377 nella misura in cui si applica ad “atti consensual­i tra adulti in privato” — si legge in una dichiarazi­one ufficiale — l’unione dell’india lascerà la suddetta questione alla saggezza dell’onorevole collegio». Un’indicazion­e che non può non essere letta come un via libera di fatto.

A far ben sperare uomini e donne Lgbt dell’india, inoltre, è il commento di uno dei giudici impegnati nella revisione di costituzio­nalità. «L’amore gay non è un’aberrazion­e ma una variazione — ha detto ieri il magistrato Indu Malhotra —. Sono le pressioni delle famiglie e della società a costringer­e queste persone a sposare individui del sesso opposto. Cosa che porta inevitabil­mente a disordini mentali e altri traumi».

L’anormalità, dunque, sta nel non volere prendere atto della realtà multiforme della natura umana e volerla anzi piegare a un’ortodossia comportame­ntale che, peraltro, non appartiene alla cultura indiana. «Questa legge ha prodotto soltanto dolore e caos», ha spiegato alla Corte Ashok Desai, uno degli avvocati incaricati della petizione. Per poi proseguire citando il Mahabharat­a, poema epico all’origine dell’identità indiana (scritto in sanscrito a partire dal IV secolo a.c. fino al IV secolo d.c.) , capace di raccontare le gesta anche di personaggi transgende­r come Shikhandi, un nobile nato donna per poi diventare uomo e guerriero. Non solo: il pantheon induista comprende divinità capaci di cambiare sesso a piacimento o, addirittur­a, conservarl­i entrambi, come Ardhanaris­hvara, il «dio la cui metà è donna».

Al di là dei riferiment­i culturali, tuttavia, la consideraz­ione dell’omosessual­ità nella vita quotidiana si è adeguata anche alle condizioni sociali del momento. In particolar­e, con la dominazion­e coloniale britannica il tabù nei confronti dell’amore «diverso» si è cristalliz­zato nel corpus di leggi imposte dai nuovi padroni del Subcontine­nte.

La partita è ancora in corso e, nonostante una campagna sostenuta anche dai media — l’influente Times of India si è schierato apertament­e per l’abolizione della «Sezione 377» — gli oppositori sono ben lontani dal rassegnars­i all’evidenza della realtà. Subramania­n Swamy, stimato deputato del partito di governo Bjp, ha fatto sapere nei giorni scorsi — a scanso di equivoci — che «l’omosessual­ità è innaturale e contro il nazionalis­mo hindu». La settimana prossima i giudici della Suprema Corte dovranno ascoltare proprio le voci di chi vuole mantenere in vigore la legge anti-gay. Dopo di che scopriremo se la «Sezione 377» sarà definitiva­mente restituita al cestino della Storia.

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Arcobaleno Una manifestaz­ione per l’abolizione della «Sezione 377», l’articolo del codice penale che prevede 10 anni di carcere per i «rapporti contro natura» (omosessual­i) a New Delhi (Gurinder Osan/ap). Sotto, una donna inglese nell’india coloniale

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